Emc The Show. Recensione dell’album.

Emc - The Show. Cd cover

Chi è cresciuto a pane e Hip-Hop nutre una profonda repulsione per quello che viene rappresentato come “Hip-Hop” al giorno d’oggi. Se nel corso della vita di ogni genere musicale esistono variazioni di stile, nuove tecniche, contaminazioni, nell’Hip-Hop i cambiamenti più in vista hanno portato ad un forte sdoganamento commerciale attraverso suoni più morbidi e malleabili e quadri visivi innocui, cioè un paradosso per quella che è nata come musica (e cultura) di rottura, di “fastidio” sociale. Tutto ciò ha fatto il gioco dei detrattori storici, coloro che l’hanno sempre definita una non-musica, una rumorosa cacofonia, dando a loro un prezioso assist per attaccare anche la superficialità dei testi inclini a commentare la propria vera o presunta ricchezza dipinta da gioielli, auto di lusso, donne seminude.

Fortunatamente non tutto l’Hip-Hop “moderno” è così. Esiste ancora qualche baluardo, appartenente a una nicchia meno ristretta di quanto si possa pensare, capace di non bastardizzare la propria arte e di innovare senza prestarsi al volere dell’industria, mantenendo quindi quel criterio che in ogni genere è importante ma che in questo è (o era) sempre stato quasi una legge: l’originalità.

Non è un caso che molti degli artisti non intaccati dalle nuove tendenze siano veterani: uno di essi è Master Ace, rapper che faceva parte della mitica Juice Crew di Marley Marl, collettivo newyorkese che dalla seconda metà degli anni 80 per circa un decennio ha dominato la scena ed ispirato parecchi adepti. Se Big Daddy Kane e Kool G. Rap facevano la parte del leone e a tutt’oggi si possono definire due dei migliori cinque mc’s di sempre, Master Ace ha dalla sua una qualità che nemmeno molti dei suoi migliori colleghi hanno: la longevità. E’ infatti l’unico che dopo gli album degli anni d’oro ha continuato a produrre musica di alta qualità sfornando in tempi recenti quelli che probabilmente sono due dei suoi migliori lavori (“Disposable Arts” del 2001 e “A Long Hot Summer” del 2004). La sua dichiarazione di non voler più incidere dischi da solista è stata addolcita da quella immediatamente successiva, cioè quella che manifestava l’intenzione di non ritirarsi definitivamente, ma di lavorare esclusivamente in collaborazioni, spesso da lui stesso orchestrate.

Ed ecco che arriva il primo progetto ufficiale: EMC, ovvero un “supergruppo” che unisce ad Ace altri tre rappers di una generazione successiva alla sua: Wordsworth, Punchline e Stricklin’. “The Show” è il loro esordio su lunga durata ed è imperniato sull’innegabile abilità verbale dei rapper protagonisti. Il loro stile è classico, newyorkese se ce n’è uno (anche se Stricklin’ è originario di Milwaukee), e mai pesante, evita l’aggressività fine a se stessa ma piuttosto punta sulla tecnica senza trascurare punte di ironia e di creatività.

Ma ovviamente un album non è fatto solo di tecnica e stile, ci vuole qualcosa di più, ci vuole una buona produzione, dei temi, un filo conduttore tra i brani. Bè, “The Show” ha tutto questo. La produzione è affidata a nomi relativamente nuovi ma già rodati nell’ambiente, spesso tra l’altro proprio nei lavori precedenti di Master Ace stesso. E’ il caso del croato Koolade, del canadese Marco Polo, dell’olandese Nikolay ma anche di nomi statunitensi dell’underground quali Frequency, The Are o Ayatollah. Le basi incorporano campionamenti di fiati e linee di basso derivanti dal soul amalgamandoli a “sporche” batterie dal ritmo potente, il tutto condito da scratch e rumori di fondo a completamento di una parte musicale che accontenterà gli amanti del genere ma che non risulterà quasi mai pesante all’ascoltatore casuale, pur con la quasi totale assenza di cori cantati e senza concedere nulla ad esigenze radiofoniche. Quello che rende ancora più interessante “The Show” è il fatto che, a suo modo, è un “concept album”, imperniato intorno alla descrizione di una giornata di tour del gruppo (e non è casuale, prima di realizzare un album gli EMC hanno fatto moltissimi concerti, per anni). Sono gli interludi a fare da ponte tra i pezzi, descrivendo l’arrivo all’aeroporto e all’hotel, l’intervista pre-concerto, il backstage e così via. Tutto questo con una serie di divertenti imprevisti che danno il là al tema della canzone successiva, libera poi di spaziare e di crescere attraverso l’intelligenza dei testi.

Nell’arco dei 23 pezzi per oltre un’ora di musica è difficile stancarsi o voler mandare avanti. I brani migliori sono “Who We Be”, che funge da introduzione di ogni membro el gruppo, le tiratissime “Leak It Out” (il nuovo singolo) e “Git Some” (con comparsa di un altro baluardo newyorkese, Sean Price), poi “EMC” che risponde con fantasia a chi chiede il significato della sigla che dà il nome al gruppo, la seriosa “Make It Better” e la souleggiante “Winds Of Change” che va ad affrontare proprio i cambiamenti dell’Hip-Hop nel corso del tempo. Innegabile poi sentirsi coinvolti nella title-track, con gradita presenza di Ladybug Mecca, dello storico gruppo dei Digable Planets, e nel sentito e classico omaggio alla figura della mamma in “U Let Me Grow” o ancora nel divertente inno al rimorchio “Borrow You”. Ma quello che colpisce è il feeling tra gli mc’s, ed è difficile stabilire quale sia il migliore dei quattro alla fine dell’ascolto. Certamente si può dire che il gruppo è ben assortito, si va dalla saggezza di Master Ace passando per lo stile sfrontato di Wordsworth alla natura di mc da battaglia di Punchline fino ad arrivare al piglio più street di Stricklin’. Sono in ogni caso quattro mc che non hanno niente da invidiare a nessuno e si lasciano apprezzare per la loro sincerità nei testi. Non è raro trovare infatti argomenti che li rendono vicini all’ascoltatore, come la fatica per arrivare a fine mese, l’impossibilità di vivere la vita desiderata, la difficoltà nel trovare equilibrio tra lavoro e vita sentimentale. Il tutto raccontato con naturalezza e senza toni cupi e pesanti.

Insomma, un album da ascoltare rilassandosi e godendosi la natura dell’Hip-Hop genuino, realizzato con passione, da chi per la musica vive e dà tutto. Un bell’esempio di mix tra spirito degli anni d’oro e modernità. In più è ottimamente prodotto, anche nella confezione, cartonata e completa di bel booklet. E per quanto riguarda la parte “audio”, niente paura: è curata anche quella nei minimi dettagli!