Frank Sinatra – In The Wee Small Hours (1956)

Oggi facciamo un bel salto indietro nel tempo per pescare il nostro ennesimo Disco da Isola Deserta, precisamente fino al 1955. Erano i tempi in cui la pur promettente carriera (8 dischi già al suo attivo) di un giovane Frank Sinatra necessitava di un exploit per risollevarsi dopo qualche colpo a vuoto – costatogli la fine del rapporto con la Columbia – e due prove decisamente buone con la nuova casa discografica.

Al riguardo la scommessa (sua e della Capitol records) fu duplice: da una parte presentare delle canzoni legate ad un medesimo tema, costituendo così uno dei primissimi concept, dall’altra inciderle insieme su un unico supporto, a 12 pollici (oltre che, alternativamente, come doppio a 10), il che rappresentava, per quegli anni, una eccezionale novità e, come tale, un rischio commerciale.

La scommessa fu vinta su tutta la linea, visto che oltre all’indubbia qualità delle canzoni, il grande pubblico finì per appassionarsi anche al tema di fondo di In the wee small hours: la travagliata storia d’amore fra “The Voice” e Ava Gardner.

Ad introdurre l’ascoltatore poteva bastare, in qualche modo, già la sola copertina dove l’artista italo americano appariva malinconico, con la sigaretta in bocca, vagando insonne fra le strade della città e ben propenso a cantare di sentimenti che svaniscono, ricordi bellissimi del passato e vaghe speranze di riconciliazione. Per questo, la title track resta quasi un manifesto con quei suoi versi così espliciti: “In the wee small hours of the morning,while the whole wide world is fast asleep, you lie awake and think about the girl and never, ever think of counting sheep. When your lonely heart has learned its lesson, You’d be hers if only she would call, In the wee small hours of the morning, That’s the time you miss her most of all. In pratica il programma del perfetto “abbandonato”.

Fra i tanti pezzi degni di nota, in realtà tutti scritti da altri (tranne la conclusiva “This love of mine” nella quale Sinatra figura come co-autore), spicca su tutti a mio avviso l’ancor più risalente (del 1939) “I get along without you very well”, dove Frank abbandona l’orgoglio e dichiara candidamente che, pur volendo fingere di cavarsela egregiamente senza la sua lei, gli è sufficiente ascoltare una risata di qualcuno che la ricordi, o sentire una pioggerellina cadere sulle foglie o, ancora, l’arrivo della primavera per richiamare alla memoria momenti indimenticabili vissuti insieme, e quindi riportarlo alla dura realtà dell’attuale solitudine. Memorabile.

Chiudo consigliando a tutti gli amanti del genere e non, di riprendere in mano questo vecchio disco di torch songs e goderselo tutto come un buon vino d’annata in una serata un po’ malinconica, a lume di candela per rivivere in 45 minuti scarsi un’epoca, una voce infinita e, perché no, un amore appassionato, ancorché ormai svanito.