Freddy Mercury e l’opera italiana

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Seconda Parte

2. INDIZI VISIBILI

2.1 Bohemian Rhapsody

L’autore ha sempre parlato di tre distinte sezioni, in realtà dovremmo parlare di quattro parti distinte in base al rapporto testo/musica:

SEZIONE A ─ corale
SEZIONE B’ ─ pianistica
SEZIONE C ─ operistica
SEZIONE B’’─ rock/pianistica

Il cantante, crediamo, considerava unica la sezione B’ e B’’. La particolarità del brano si manifesta sin dalla prima battuta, con il coro a tre voci (polivocale grazie al nastro a 32 piste) che supplisce alla assenza di musica. Mercury e la band si ripeteranno l’anno seguente, in A day at the Races, con Somebody to love, raggiungendo l’apice della registrazione corale in studio per un brano rock:

Eravamo sempre le stesse tre persone che cantavano nella parte del grande coro, ma l’approccio tecnico era diverso perché si trattava di un gospel. […] Volevo scrivere qualcosa alla maniera di Aretha Franklin, ispirato all’impostazione gospel dei suoi primissimi album. Nelle armonie l’impostazione può sembrare la stessa, ma in studio è molto diverso, perché diverso è il registro.

Torniamo a Bohemian Rhapsody. La sezione A si conclude alla battuta 15 lasciando spazio alla sezione B’ dove il “povero giovane” confessa un omicidio sotto il dolce cullare del pianoforte (vedi esempio 1):

Esempio 1
Bohemian Rhapsody, battute 17 – 25.

Esaminando la parte centrale della sua Rapsodia (sezione C) possiamo vedere come, in parte (non me ne vogliano i melomani più ortodossi e ancor meno i musicologi), l’atmosfera che si respira è molto simile a quella rossiniana fatta di eccessi, tentazioni, paure e amori.
Nell’esempio 2 vediamo il sestetto presente nell’Atto secondo della Cenerentola, Questo è un nodo avviluppato, / Questo è un gruppo rintrecciato, dove i protagonisti ─ Dandini, Don Ramiro, Cenerentola e Don Magnifico prima; Clorinda e Tisbe dopo ─ sono impegnati in un intricatissimo canone vocale. Un giocoso e virtuosissimo contrappunto che mostra la capacità «del compositore nell’attorcigliare sillabe, reiterare consonanti». Il maestro pesarese ha ben presenti i modelli mozartiani ed addirittura eguaglia il compositore austriaco «nel trattamento dell’orchestra, negli incisi tematici».

Esempio 2
Inizio del sestetto
Questo è un nodo avviluppato, / Questo è un gruppo rintrecciato
con Dandini e Don Ramiro.

Mercury non adotta nulla di così complicato né fa ricorso a canoni, bensì gioca con le voci. Usa la stessa sobrietà rossiniana nell’interrompere un discorso logico e inserirne uno singhiozzante, quasi sognante: dopo le preghiere del “poor boy” si inserisce il dialogo con il coro, ovvero la voce della sua anima. Non c’è nulla di musicalmente riconducibile al compositore pesarese ─ se non nel finale della sezione C dove un crescendo conduce alla sezione B’’. Ma Mercury si rivolge chiaramente a Rossini creando un’atmosfera grottesca tipica delle sue arie buffe (si pensi anche alla stretta finale del primo atto della Cenerentola, Signora è pronto in tavola!, «dove gaiezza, demenzialità e automanierismo convivono felicemente» ). È sempre nella sezione operistica che Mercury omaggia Mozart, facendo pronunciare dal coro, ed è la prima volta, il nome del protagonista fino a quel momento rimasto anonimo (Galileo/ Galileo, Figaro vedi esempio 3).

Esempio 3
Bohemian Rhapsody, battute 59 – 62.

Rhapsody bisognava studiarla bene […]. Certe canzoni hanno bisogno […] di uno stile pomposo. […] Era un pezzo ironico, una contraffazione operistica, però volevo che avesse una forte impronta Queen. Mi piace davvero il mondo dell’opera. Volevo esagerare con le mie parti vocali perché ci hanno sempre paragonato ad altri, ed è una cosa molto stupida. Se ascolti la parte operistica del brano, ogni paragone sparisce, ed è ciò che volevamo.

Sono le parole stesse di Freddie a legittimarne il valore. Ed ecco come continua a proposito della mole di lavoro svolto:

Si è trattato in realtà di un lavoro mostruosamente impegnativo, perché sono tre distinte sezioni che poi sono state riunite. Ciascuna di essa richiedeva estrema concentrazione. La più faticosa è stata quella operistica di mezzo, perché volevamo ricreare una parte che evocasse certi grandiosi cori d’opera usando solo le voci di noi tre ─ Brian, Roger e io. Per farlo abbiamo dovuto usare un sacco di sovraincisioni. Penso che fra tutti e tre abbiamo creato l’effetto di un coro di centosessanta, duecento persone. […] C’era una sezione di “No, no, no!”, un tipico crescendo, e noi dovevamo ripetere “No, no, no, no, no, no!” qualcosa come centocinquanta volte. […] C’è voluto un sacco di lavoro, ma avevo tutto nella mia mente e ho fatto eseguire a Roger, Brian e John dei passaggi che li hanno lasciati sbalorditi […]. Cose tipo un accordo e poi una pausa, al che loro ribattevano: «Ma è ridicolo!». Io avevo però tutto in testa, segmento per segmento. C’è voluta un’eternità per registrarlo.

L’ultima sezione sia apre con lo sfogo rock dove il protagonista crede di poter sfuggire al proprio destino, ma si conclude malinconicamente con la consapevolezza che non ci sarà nessuna redenzione: “Nothing really matters, anyone can see, Nothing really matters. Nothing really matters to me… Anyway the wind blows”. Il sipario si chiude sotto il colpo di un gong.

2.2 Omaggio a Leoncavallo

Passano gli anni e, dopo il capolavoro del 1975, sembra ormai spenta la scintilla operistica del dio Mercurio. In realtà era soltanto sopita, rimasta a lungo in letargo in attesa di una nuova primavera. Nel 1984 esce The Works, l’ennesimo successo discografico della band londinese (per intenderci, è l’album di Radio ga ga e I want to break free). All’interno del disco viene inserita una tipica love-ballad, composta al piano da Mercury: It’s a hard life. Il tutto non sarebbe molto rilevante se non fosse per quella breve strofa iniziale ─ “I don’t want my freedom. There’s no reason for living […]” ─ cantata sulle note della famosa aria Ridi, pagliaccio.
Negli esempi 4 e 5 vediamo le due parti messe a confronto. Mercury dilaziona il verso in sei battute, contro le quattro dell’aria di Leoncavallo, aumentando la durata delle note evitandosi così un “recitar cantando” a lui poco congeniale.
Il lamento di Canio è in tonalità di Sol magg. (da noi cerchiato in blu), Mercury invece trasporta il tutto in tonalità minore accentuandone la drammaticità (cerchio rosso). Infine l’attacco del verso: in Leoncavallo è un Sol che scende subito in Fa, in Mercury è un La che sale subito di un grado (Si).
Canio accentua la A di amore e l’infranto cuore (-fran-) con un Sol; Mercury la mancanza di ragioni (rea-) di vivere (liv-) con un Do sovracuto, ovviamente falsettato.

Esempio 4
It’s a hard life: introduzione.

Esempio 5
I Pagliacci: Ridi, pagliaccio.

Questi, purtroppo, sono gli anni in cui Freddie contrae il virus dell’HIV. Nel 1986 esce A kind of magic, colonna sonora del colossal cinematografico Highlander, e ultimo album seguito da un tour mondiale. Infatti The Miracle (1989) e Innuendo (1991), proprio a causa della sua malattia, non verranno pubblicizzati attraverso il solito iter dei concerti dal vivo; e Made in Heaven uscirà postumo, nel 1995.

2.3 Freddie Mercury & Montserrat Caballé

È il dieci ottobre del 1988 e in tutto il mondo esce Barcelona, uno degli album più amati e odiati, osannati e contestati nella storia della critica musicale in ambito rock. Sebbene negli anni ’70 molte band cercassero innovazioni, sperimentazioni e connubi con vari generi, non si è mai giunti a risultati definiti validi dalla critica internazionale, perlomeno non in maniera univoca. Certo, se si pensa a Stairway to Heaven dei Led Zeppelin o alle mille innovazioni dei Pink Floyd staremmo ore a discutere su ciò che è stato realmente innovativo o su ciò che è rimasto nell’ambito della sperimentazione. Ma se parliamo di matrimonio di due generi così apparentemente lontani non troviamo nulla di meritevole menzione. Molti chitarristi, con le proprie chitarre elettriche (e tanto di effetti), si sono cimentati negli anni in esecuzioni “rock” di arie, temi più o meno noti, sonate, delle più famose opere liriche e strumentali. Ma non era altro che la semplice volontà di mostrare il proprio virtuosismo compositivo, la propria tecnica sullo strumento.
Di tutt’altra importanza è stato l’avvicinamento alla musica leggera da parte di alcuni cantanti lirici: si pensi a Pavarotti (nel duetto con Bono degli U2 in Miss Sarajevo), a Bocelli, a Plácido Domingo o a José Carreras. Tutti tenori che, per amore della lirica e della musica (perlomeno così vogliamo credere), hanno cercato di avvicinarsi ai giovani attraverso concerti in grandi piazze, mettendosi in gioco, duettando con cantanti di musica leggera in brani da hit parade.
Barcelona è però qualcosa di diverso. Niente ricerca di virtuosismo, niente ricerca di un pubblico giovane, niente sperimentazioni. «Barcelona è il compimento degli impulsi operistici di Freddie anticipati già con Bohemian Rhapsody». È il secondo album solista del cantante inglese, ben diverso dal primo. Non il solito noioso album da studio, non l’ennesima raccolta di brani registrati e venduti alle masse. Semplicemente un lavoro, una collaborazione tra un compositore pop-rock e una soprano. Una sfida con sé stessi.

Figura 7
Da sinistra: Freddie Mercury e Montserrat Caballé
immortalati durante la registrazione del videoclip Barcelona.

Leggiamo le parole di Freddie:

Cercavo idee e d’improvviso due splendide parole sono apparse come l’onda di una marea: Montserrat Caballé. [È stato] Qualcosa di non calcolato, un razzo venuto dal cielo e cadutomi addosso. Praticamente mi ha avvolto e non sono riuscito più a pensare ad altro. Una cosa favolosa, con una tale libertà d’azione, e vita, energia, e almeno per me qualcosa che andava oltre il semplice lavoro. Ero soggiogato.

Per chi non lo sapesse, Montserrat Caballé è la più famosa cantante lirica spagnola. Dopo aver studiato dodici anni presso il Conservatorio di Musica del Liceo di Barcellona, nel 1956 entrò nella Compagnia dell’Opera di Basilea, dove debuttò nel 1957 come Mimí ne La Bohème (1896). Specializzatasi in seguito nel repertorio italiano del primo Ottocento, nel 1962 fece ritorno a Barcellona, debuttando al Teatro del Liceu.
La fortuna internazionale della Caballé iniziò nel 1965, quando sostituì l’indisposta Marilyn Horne, in una versione di Lucrezia Borgia (1833) di Gaetano Donizetti in forma di concerto alla Carnegie Hall di New York. Nell’agosto del 1969 debuttò all’Arena di Verona nel Don Carlos (1867) di Verdi e nel febbraio del ‘70 al Teatro alla Scala sempre nei panni di Lucrezia Borgia.
Freddie ne rimase incantato sin dal primo incontro avvenuto a Londra nel lussuosissimo e costosissimo ristorante Maxim’s.
Ecco, dalle parole stesse dell’autore, come nacque questa collaborazione:

Penso che Montserrat abbia una voce meravigliosa e mi è capitato di dirlo alla televisione spagnola, e lei mi ha sentito. Poi so solo che mi ha chiamato e mi ha detto: «Facciamo qualcosa insieme». Io ero completamento sbalordito. Adoro l’opera ma non avevo mai pensato di cantarla. […] Sono dunque volato a Barcellona per incontrarla. Ero veramente nervoso. Non sapevo come comportarmi o cosa dirle. Per fortuna lei mi ha messo a mio agio da subito e ho capito che tutti e due avevamo lo stesso tipo di humour. […] È una cosa che mi ha elettrizzato e sorpreso perché fino ad allora mi aveva afflitto l’illusoria idea che tutti i grandi cantanti d’opera fossero rigidi, distaccati e incutessero una grande soggezione.

Dunque si è trattato di un semplice colpo di fulmine tra i due cantanti. È sempre lo stesso Mercury a illuminarci sulla nascita della track-list dell’album:

Non volevo limitarmi a fare la sua conoscenza e scambiare giusto due chiacchiere, perché non si fanno così certe cose. Pensavo che avrei dovuto sottoporle un’idea di ciò in cui si stava imbarcando in termini di musica […]. Allora, con la sua voce in mente, ho scritto un paio di pezzi con Mike Moran e glieli ho fatti ascoltare. Li ha subito trovati di suo gradimento e così è iniziato il progetto. […] Pensavo che avrei fatto una canzone sola, o un duetto, ma lei ha detto: «Una canzone sola! Vuoi che ne facciamo solo una?». E io: «Beh, vediamo come viene, e se poi vuoi ancora un po’ della mia musica…». Al che lei ha domandato: «Quante canzoni ha di solito un album rock?». «Dieci» ho risposto. «Bene» ha replicato lei «allora facciamone dieci». Ho pensato “Fantastico. Mi do all’opera. Basta rock’n’roll”. […] Le ho spiegato che avrei scritto le canzoni, poi sarebbe venuta lei e avremmo provato insieme. Allora Montserrat ha guardato la sua agenda e ha detto: «Ho tre giorni liberi a maggio, non ne ho altri». Pensava di arrivare e cantare, loro lavorano così, si vede. […] L’ultima cosa che volevo era una sorta di collaborazione forzata, e lei è stata molto esplicita al riguardo, e ha detto: «Senti, mi piacerebbe fare qualcosa. Siamo due musicisti, se non viene fuori nulla ammetteremo che non va e abbandoneremo il progetto».

Ma non fu così. Il progetto decollò in fretta, e durante l’assenza della soprano Mercury compose otto brani, tra cui due con Mike Moran. Finito il periodo compositivo, Mercury non sapeva però come i brani potessero risultare con l’inserimento della propria voce:

C’era molto stress perché si trattava di un grande rischio. Era qualcosa che non penso qualcun altro avesse mai fatto prima. Dovevo […] essere certo di usare la sua voce nel modo giusto. Così ho passato giorni e giorni a conversare con lei e ad ascoltare un mucchio di suoi dischi, per scoprire i suoi punti forti e impiegarli nelle musiche che stavo scrivendo. Dovevo poi vedere come la mia voce si combinava con la sua. Non vai da nessuna parte se hai una splendida canzone e poi scopri che le due voci non si combinano, non si accordano fra loro; è dura, bisogna lavorare il doppio. Da questo incontro con Montserrat ho imparato molte cose nuove. […] Sono a digiuno di tecniche vocali liriche ed è troppo tardi per cominciare adesso. Questa è la mia voce, ho solo cantato anni e anni ed è già stata troppo maltrattata, […] ma era questa la voce che Montsy voleva. Voleva la mia voce così com’è.

Alla fine saranno otto le canzoni inserite nell’album: sette brani più una inusuale Overture Piccante posta in chiusura. Freddie si inoltra nel mondo del melodramma riuscendo a duettare con la corpulenta soprano in vere e proprie arie pop. Dalla già citata Barcelona (che diverrà l’inno delle Olimpiadi del 1992, che si disputeranno proprio nella città catalana) alla malinconica Ensueňo. Mentre la Caballé si abbassa al pop nello splendido brano How can I go on. Poi ci sono l’esotismo di La Japonaise, con le sue frasi in lingua nipponica omaggio di Mercury all’amato paese del sol levante, la richiesta di un rifugio sicuro cantata in Guide me home (piccola e dolce arietta, composta per pianoforte, archi e voci) e la gloria, l’amore e la disillusione di The golden boy per completare l’opera pomposa di una strana coppia che crea un mondo tutto suo, fatto di sogni e amore.

La collaborazione tra Freddie e Montserrat Caballé ottenne un così grande successo nelle classifiche di tutto il mondo che i fan di Freddie cominciarono a dare la caccia anche a Montsy. Lei disse a Freddie che era rimasta assolutamente sorpresa dagli ottimi risultati del disco e confessò che per la prima volta nella sua carriera le era capitato, mentre attraversava la sala d’aspetto di un aeroporto, di essere inseguita da teenager urlanti.

Con questo album Freddie Mercury si è spinto oltre ogni limite, sperimentando cose nuove per offrirle al suo vastissimo pubblico. Si è messo in gioco, si è trattato di una svolta per la sua carriera e per tutto il mondo del rock. Si è trattato della realizzazione del suo sogno: I had this perfect dream. This dream was me and you. (vedi esempio 8).

Esempio 8
Barcelona, battute 15 – 20.

L’album entrò subito nelle classifiche di quasi tutto il mondo ma nel Regno Unito si fermò al quindicesimo posto (grazie alle ristampe del luglio 1992, dopo la morte di Freddie). La critica si spaccò, c’è chi lo accolse con fiero entusiasmo e chi invece non vide altro che una chiara collaborazione programmata per rivitalizzare due carriere in fase discendente. Il Kerrang! scrisse: «Sensational. Quite extraordinary and the ultimate in high camp», mentre il Sounds pubblicò queste parole: «This will appeal to real music lovers». Soltanto il Record Mirror ha scritto: «In the most curious matching of talents known to man, Freddie settles back in the armchair and whinges a bit while the weighty Montserrat woman leaps around the room, yodelling and warbling wildly. He’s never been the same since Bohemian Rhapsody».