Gian Luca Mondo “Petali”, recensione

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Devo dire grazie alla Macramè Trame Comunicative, perché mi ha dato la possibilità di parlare, scrivere e condividere questo sorprendente Petali.Infatti, come oramai i nostri lettori sanno, su Music on Tnt approdano tendenzialmente opere meritevoli… e vi assicuro che il mondo frastornante di Gian Luca Mondo lo è!

Il disco ruvido, bipolare e sanguigno, arriva a noi attraverso le mani della Contro Records, label indipendente anche nel modo di pensare, scisso in maniera salutare dal virale mondo falsificante dei social network, ma concentrata su concretezza e valori.

L’album, con le sue dodici tracce, si palesa come un’iper realtà icosidodecaedrica. Una vitalità genuina, cangiante ed umorale, che folgora, sorprende e taglia la banalità, mostrando le cuspidi e gli angoli differenti di una quotidianità folle e visionaria. Un mondo viscerale, avvelenato dal blues, spesso intercalato tra noise e aperture alternative, che non disdegnano l’acutezza espressiva, l’ironia e il surrealismo nero.

Questa terza opera dell’autore torinese sembra rinvigorirsi mediante un utilizzo poetico del lessico, in grado di ridefinire le sfumature emozionali delle sue liriche immusonite e straordinarie, che partono da un sorprendente incipit ( Il dilemma del porcospino). La traccia, minimale e disturbata, si offre mediante la linea di cantato scarna e fondamentalmente post punk nella sua presa algida in stile ferrettiano. Le strutture vintage, mescolate a nuove tendenze (Sick tamburo), aprono ad una lettura emotiva piuttosto avvolgente, definita attorno a spezie rumoristiche, che ben si sposano con i sampler di Crapshooter , dominata da una semplice strappato. Il plettro si muove donando sonorità basse, qui richiamanti un’accorta autorialità profonda e melanconica, appoggiata coraggiosamente su dosi ampie di spoken words, in cui si ritrovano spezie creative proprie di Fabrizio Testa.

Il songwriting, studiato e metaforico, costruisce anima e corpo attraverso incursioni sonori fuori riga, proprio come accade con le polverose trombe dai sapori centro americani, che non reggono però il confronto con la straordinarietà di Rivelazioni. La canzone, distorta, visionaria, folle e caotica, appare però prodigiosamente controllata, come una sorta di ricercato ossimoro. Composta e scomposta all’unisono, richiama il mondo perduto dei Cccp ed un certo tipo di avanguardia narrativa, qui in perfetta antitesi con le note più accoglienti di Istruzioni per Lipe.

Se poi con il bues di Valentina si arriva inevitabilmente a citare il cosmo di Capossela, con la titletrack ci si riavvicina alla teatralizzazione recitativa, poggiata su di un pattern electro-noise e su di una bass line dai taglienti freddi suoni. Rasoiate eclettiche che vanno ad unirsi alla struttura poetica del testo, pronto ad arrivare a delineare strutture southern ( Nebbia fra gli scacchi, impronte soffuse e moderate ( Lo sbocciare della magnolia) e cadenzate nenie di colore blu ( Il punto del cinghiale (per Skip James).

Un disco interessante ben arrangiato e ben equilibrato nei suoi volumi, pronto a distorcere l’anima blues verso estremizzazioni curiose e riuscite.