Frozen Farmer “Stay”, recensione

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Figlia legittima di Ep, licenziato nel 2011 dalla Ghost Records, questa nuova fatica dei Frozen Farmer rappresenta un reale e concreto punto di partenza espressiva.
La band varesina, attiva dal 2009, sembra voler convogliare le proprie idee verso una misurazione più accorta, attraverso arrangiamenti curati, in grado di esprimere un pattern essenziale al servizio della narrativa esposta.

Un interessante (e riuscito) intreccio di country e folk, qui rivisitati sotto la lente del mondo alternative, più che mai stimolato e alimentato da stilemi d’oltreoceano, in grado di restituire sonorità che devono il loro spirito espressivo all’ondata di fine anni ’90 dell’America underground.

L’album, nascosto dietro ad una banale opera di cover art, si offre ai seguaci indie come un prodotto d’esordio carico di ricche sfumature sonore, ben definite dai fulcri narrativi e da note in grado di rimandare a sintomatici deja ecù, senza (però) mai perdere brillantezza. Nonostante una perfettibile pronuncia, le liriche si evolvono attraverso forme regolari di quartine, mostrando, con alterne fortune, sviluppi sonici curati e decisivi, proprio come dimostrano i rimandi Simon & Garfunkel dell’opener. Infatti, Angels’ Melody, con il suo finger pick sembra volersi ridefinire seguendo strutture vintage, tra back-voice funzionali ed un riuscito outro cadenzato, che apre le porte alle polverose anime alt country di Frozen Farmer e Stay, i cui richiami a Cow degli Sparklehorse restituiscono una piccola perla acustica. L’anima folk country ritorna poi sulle tracce di There’s a Leak, ballad bifronte che, al pari di Fredericksburg, riesce a trasformare le note in polveri danzanti, che ottengono il prezzo del loro biglietto nella splendida chiusura affidata a Shame on me e End of the day. Entrambe le composizioni sembrano voler stabilire quel reale orizzonte, in cui la band vuole veicolare, proprio come accade mediate le sonorità accentranti di Here i come, in cui linea di cantato pare armonicamente cucita sulla partitura.

Un disco in cui la musica arriva a muovere il cuore grazie al banjo di Francesco Scalise, all’inusuale strumentazione e alle numerose featuring, che portano sotto le ali della Seahorse recording un disco dall’interessante prospettiva.