Guignol “Abile Labile”, recensione

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Ebbene sì, per recensire la nuova fatica dei Guignol ho impiegato sin troppo tempo, perché credevo potesse essere un disco di mio gusto (soggettivamente parlando) ed invece…

Scrivere di un disco che non mi ha convinto appieno è, come sempre, impresa difficile, tanto è vero che solitamente evito di lavorarci, a meno che il lato oggettivo non mi spinga a parlarne in modo costruttivo. Le mie recensioni, da sempre, non mirano mai a dilaniare un prodotto; non ho mai amato denigrare o devastare un artista, e non importa se mainstream o underground. Se un disco non mi piace, semplicemente, non lo recensisco.

Quindi perché spendere parole per Abile Labile?

Perché sono certo che il disco piacerà a prescindere dalla mia sensazione di disagio. Infatti, il percepire il full lenght come opera piena, ma poco espressiva e parzialmente deludente, deriva fondamentalmente dalle aspettative che riponevo sul quintetto milanese. Non a caso in una mia precedente recensione (Addiocane) scrivevo così: “Un disco che, tra alti e bassi, non sembra aggiungere nulla di nuovo al panorama musicale italiano, complice anche una post produzione che sembra non essere in grado di evidenziare la buona tecnica di base e i passaggi che ancora devono sbocciare”.

Speravo, dunque, di poter vedere germogliare le buone intenzione e le riuscite intuizioni poste alla base delle precedenti opere… ed invece mi ritrovo ancora immerso in una sensazione di scarsa concretezza e orizzonti solo ipotizzati, proprio come dimostra l’introduttiva L’angolo.

Alimentati dallo spirito di una nuova line up, la band torna con undici tracce curate e bilanciate, in cui storie e personaggi vengono narrati attraverso i colori della fragilità emotiva di un cantautorato scomodo e libero dai canoni dell’usuale. A dare corpo al fil rouge che scorre tra le partiture è di certo un songwriting acuto ed espressivo, in grado di restituire all’ascoltatore un mondo narrato da immaginare e vivere.

Arte Immaginifica veicolata attraverso la straordinaria linea di basso che vive in L’uomo senza qualità , calamitica struttura vicina al mondo new wave di fine anni ’80. Un’interessante approccio sonoro che ben si allinea alla voce sporca del front man, immerso in un aurea criptica, pronta a virare verso un rock assestato, alimentato da guitar solo e da una ragionata sezione ritmica.

Con Polvere rossa, labbra nere l’impostazione espressiva si fa onirica, quasi visionaria, ideale nel richiamare alcuni aspetti emozionali del Giardino delle vergini suicide, appoggiandosi ad un alt rock deciso, ma perfettibile. Tra pelli e toniche giungiamo poi a Piccolo demone , ispirata ad una struttura White stripe, qui deformata verso una narrazione più elitaria, che non disdegna né lo spoken word né tanto meno una teatralità intercalata tra echi e riverberi cantautorali. Da qui si riparte alla volta di Rifugio dei peccatori per arrivare a La coscienza di Ivano , una sorta di divertissement a patchwork, attraversato da bilanciamenti giocosi, che vanno a riportare alla mente dinamiche strutturali di Silvestri e Capossela.

Se poi con Il merlo attraversiamo una metodica strutturale di stampo vintage, con Sora Gemma e il crocifisso sembrano rinascere i ricordi del David Bowie di fine anni’70, alimentati da una 6 corde pulita e ritmica, su cui piccoli cambi direzionali si intersecano in favore ed in funzione della narrazione.
A chiudere il disco è infine Il cielo su Milano , malinconica e inquieta traccia grigia, acuita nella sua espressività dalla viola, che ne aumenta l’impatto espressivo, senza riuscire a marcare in maniera definitiva il lungo sentiero percorso dalla band.

Tracklist

1. L’angolo
2. L’uomo senza qualità
3. Polvere rossa, labbra nere
4. Piccolo demone
5. Rifugio dei peccatori
6. Salvatore tuttofare
7. La coscienza di Ivano
8. Il merlo
9. Sora Gemma e il crocifisso
10. Luci e sirene
11. Il cielo su Milano