I primi tre album di Garbo

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Recensione dei primi tre album di Renato Abate alias Garbo.

Prima di addentrarci nella recensione, mi piace ricordare in questo contesto, Faust’o (alias Fausto Rossi) e Gino D’Eliso, alfieri, assieme a Garbo, tra fine anni ’70 e inizio anni ’80 di una nuova (e poco battuta…) strada del rock italiano.
Tornando ai nostri tre dischi, essi ritraggono, in maniera limpida e sincera, una splendida dimensione in bilico tra gli approdi verso l’altrove del Bowie più sperimentale di “STATION TO STATION” e della famosa trilogia berlinese e le cupe intuizioni della new wave più introspettiva (Bauhaus, Joy Division, i primi Ultravox, i primi Cure e i primi album di Siouxsie).
I dischi in questione sono “A BERLINO… VA BENE” (1981), “SCORTATI” (1982) e “FOTOGRAFIE” (1984).
Il primo è quello che con maggior attenzione (ma anche con minor personalità – cosa comunque comprensibilissima, poiché di esordio trattasi) ricalca gli stilemi tipici dei dischi sopraccitati del duca bianco, in coerente alternanza tra squarci elettronici (non ‘tecno’) poco inclini alla facile melodia e momenti apparentemente più scorrevoli dove convivono chiari riferimenti all’arte mitteleuropea e aperture armonico-melodiche più vicine alla comunicativa della new wave.
Di questo disco citiamo la ‘title-track’ (che ebbe un certo successo all’epoca), le più movimentate “In questo cielo a novembre” e “On the radio”, assieme all’ottimo strumentale conclusivo, “Mekong”.
La prova successiva, “SCORTATI”, è, a mio parere, il capolavoro di Garbo: introiettati con straordinaria ricettività e, soprattutto, rielaborati con esemplare personalità e spontaneità i lasciti seminali degli artisti inglesi citati, il nostro se ne esce nell’82 con un disco breve (poco più di 30 minuti), ma ricchissimo di spunti testuali e intuizioni musicali di prim’ordine.
Tutti i brani di questo album promettono e mantengono riflessioni esistenziali sulla relatività dello scorrere del tempo e delle coordinate spaziali del nostro mondo interiore, in una serie di rimandi colti che si estrinsecano in lucidissima poesia minimalista, scevra, però, di ogni presuntuosa retorica.
Indimenticabili le sottigliezze lirico-musicali di “Scortati”, “Generazione”, “Al tuo fianco”, “Frontiere”, “Vorrei regnare” (dove Garbo paga un doveroso tributo al credo bowiano di “Change”) e “Terre bianche”, mentre i moti dell’animo sprigionano un’insopprimibile, catartica, malinconia all’ascolto del ‘masterpiece’ del disco, “Moderni”.
L’antologia dell’84, “FOTOGRAFIE” fotografa, appunto, l’evoluzione lirico-sonora di Garbo raccogliendo i brani migliori dei primi due dischi assieme ad alcune ottime canzoni uscite solo su 45 giri come “Radioclima”, “Quanti anni hai?” (proposta in due versioni, straordinaria la delicata emotività di quella ‘lenta’) e “Cose veloci”.
So che questi sono e rimarranno dischi di ‘nicchia’, come si dice in questi casi, ma se qualcuno di voi fosse stanco dello stereotipato pop italiano e volesse farsi un viaggio tra i legittimi dubbi e le umane incertezze di questo nostro tempo confuso e nervoso, provi ad ascoltare queste sconosciute perle della canzone italiana.

Discografia di Garbo
A Berlino… va bene (1981)
Scortati (1982)
Fotografie (1984)
Il fiume (1986)
Manifesti (1988)
1.6.2 (1990)
Garbo e il presidente Live (1991)
Macchine nei fiori / Cosa rimane… Rivisitazioni (81-91) (1993)
Fuori per sempre (1995)
Up the line (1997)
Grandi giorni (1998)
Blu (2002)
Gialloelettrico (2005)
Come il vetro (2008)