Inflikted “Inflikted”, recensione

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Se 20 anni fa avessi avuto per le mani questo disco, (non ho dubbi in merito) avrebbe fatto la fine di Kill ‘em all, disco che ho gustosamente consumato per anni.

Gli Inflikted sembrano arrivare proprio dagli albori dello speed thrash vecchio stile. Un combo deflagrante, in grado, non solo di rinverdire gli antichi fasti del genere, ma al contempo di aprire le porte del passato ad intuizioni coraggiose al servizio di un full lenght davvero riuscito. Un ‘opera da cui emergono venature vicine all’area teutonica di inizio anni’90, mescolata al thrash scomposto di Slayer e alle ritmiche dei primi Anthrax.

La band, attiva da pochi anni, si racconta mediante un corposo muro di suoni, che non sembra voler cedere alle banalizzazioni, rimanendo ancorata, in maniera coerente ed inusuale, a sonorità atte a raccogliere la storia del metal. Non ci sono perplessità sul fatto che questo straordinario debut, licenziato dalla Worm Hole Death, abbia le possibilità di carpire non solo l’interesse dei “furono” hmk, ma anche tutte quelle nuove generazioni borchiate, stufe degli andamenti sonoci di stampo nu.

Il disco si presenta, sin dal primo ascolto, godibile, intenso e scomposto, anche grazie alla linea vocale di Mikael Kerlsson, in grado di mescolare l’attitudine cripto-punk a vocalizzi tipicamente arayani.

La band, coraggiosa e spavalda nel suo essere, mostra un ego lineare rafforzato da una particolare vis creativa, che trova nel drum set l’anima espressiva del suo battere, grazie all’operato di Fredrick Gard, deus ex machina di accorte partiture. L’ottimo inizio è definito però attorno ad una sei corde pulita, in grado di introdurci al meglio nel mondo degli Inflikted, mediante un arpeggio virato verso un’attesa distorsione, che matura su di un profondo e calmierato riff. Le pelli, funzionali alla narrazione, rilasciano accorti ed intensi momenti, alternandosi a silenzi chiusi tra le braccia di cupi riffing, pronti a disciogliere una tendenza primordiale. La traccia iniziale appare moderata nel suo pathos narrativo, almeno sino alla sua naturale evoluzione, che conduce verso riuscitissime intuizione speed trash dai sapori Agent orange. Una lunga traccia la cui fase terminale ci lascia con un fade out di inquiete campane, presa anticipatoria rispetto a Corporate Slut il cui suono metallico offre il giusto pattern per l’inevitabile guitar solo. L’eccellenza si ottiene poi con la diluita Heavenly Warfare battente e trainante, i cui continui cambi direzionali feriscono con deflagrazioni sonore momenti di moderata emotività.

Se poi Dictocracy conferma appieno le buone vibrazioni nonostante l’invadenza della coralità, con i chiari richiami “metallici” di Dual Personality e con le svolte stilistiche di Wrath of the north l’ascoltatore viene invitato in un variegato mondo sonoro. Proprio “dall’ira del nord” ha inizio uno sguardo pseudo epic non troppo distante dal mondo viking intercalato da una sostanza bathoryana, assestata tra lande desolate ed asce pagane, delineate da una ritmica avvolgente e da sparuti spoken word.

A chiudere il disco è, infine, la suite strumentale Metal Fatigue, che nel suo coraggio espressivo e nei suoi ideali di fondo, appare come una novella Orion, in grado di raccogliere le ultime forze di un ascoltatore che non potrà che essere fagocitato tra i meandri narrativi di questo ottimo selftitled.