Kevlar Bikini “Hi-Fi Or Die”, recensione

bikini.jpg

Giungono dall’underground di una Zagabria vivace e stravagante, proprio come la formula punk rock espressa da questo curioso quartetto, attivo da poco meno di un lustro. Una band che al di là della vincente scelta di uscire con i solchi di un vinile, sembra trasudare quell’energia e quel groove che solo i palchi sotterranei riescono a restituire. Infatti, questa seconda fatica, targata OverDubRecordings e mixata dall’ormai avvezzo Tomas Skogsberg, si presenta sin dalla cover art molto anni’80, come un disco fulmineo, intenso ed ironico, in cui curiose trovate linguistiche ed approcci sonori grezzi e scarnificati evidenziano l’assenza di orpelli invasivi e fini a se stessi.
Questo particolare Hi-Fi or Die, rifacendosi in parte al sarcasmo punk-metal dei SOD, sembra voler porre l’accento sul dileggio dissacrante di un punk epurato da strutture sonore pseudo armoniche infestate da striature hard, rock e frenesia espressiva di stampo garage, ben definita da un songwriting lineare ed efficace.

Ad aprire la via è il classicheggiante riff rock di Wow?! , pronto ad appoggiarsi ai rituali scarni del drum set, per poi lasciare uno splendido spazio narrativo in cui la voce mostra agevolezza nel smarcarsi da una calda bass line. Tra stop and go la track conquista sin da subito, lasciando spazi vitali alle espressività strumentali, ponendosi tra gli istinti dei Petula Clarck e reminiscenze garage.

L’impronta direttiva è così segnata con precisione, mediante sentori cripto stoner e back voice, che sembrano voler rimandare agli anni ‘90 d’oltreoceano.

Le note ci portano verso i solchi di Hoax Revolution, direzionata verso un battente alternative, che inizia a porre la vocalità di Auker tra il mondo di Billy Idol e quello marchiato Volbeat. Le spinte di Hi-fi or die, si calcano poi verso l’atmosferica Human Spittoon, mescolanza emozionale davvero riuscita, per poi definire un avvicendamento tra scomposizioni vocali ed ipnotici rimandi all’uso vintage della quattro corde. Mentre le polveri del vinile vengono regolate da Climax, l’andamento curioso della struttura sonica ci invita verso un background eighties, abile nell’ armonizzarsi ad un approccio easy, pronto a conquistare sin dal primo ascolto. Il sapore deja ecù aiuta le enclave bizzarre a recuperare l’ignoto e a ricondurlo a strutture espositive pronte a sfondare i confini dell’underground.

La forza vocale del frontman adeguatamente spinta dall’eclettico modus operanti di Kicho, apre le porte alla curiosa Death to all that is anti rock, una sorta di manifesto programmatico, in cui la marzialità ritmica propone una crescente forza esponenziale, che matura nel cuore Poulsen di Anti-rock, nonostante approcci choristici edulcoranti.

A chiudere i 34 minuti di pure rock sono la stonerizzazione di Twisting by the Cesspool, mitigata da passaggi acustici ed acuti Offspring, e Doom Mood, fulminea traccia di chiusura, in cui la sensazione reverse va a costruire una claustrofobica titolazione; sensazione (filmica) di sospensione emotiva che lascia all’ascoltatore la voglia di attendere nuove tracce.

Un insieme (dunque) di sinergie espressive, in grado di dare contorno a scariche adrenaliniche che rendo questo disco un’opera degna di ascolto.

TRACKLIST

1.Wow?!
2. Hoax Revolution
3. Human Spittoon
4. Summer of Hate
5. Hit-It-Right-Or-Go-Home
6. Climax
7. Twisting By The Cesspool
8. Death To All Is Anti-Rock
9. Anti-Rock
10. Doom Mood