La Cantina

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Sette anni dopo La Sandunga – l’album che la fece conoscere – e due anni dopo Una Sagre – il disco della consacrazione – torna Lila Downs, artista di padre statunitense e madre messicana che si è ormai affermata come la più originale esploratrice dei limiti della tradizione folk a Sud del Rio Grande – l‘unica sua vera rivale per talento ed ambizione potrebbe essere Lhasa de Sela ma le sue uscite discografiche sono troppo sporadiche.

La Cantina è il lavoro in studio più a briglie sciolte della Downs, stavolta gli accenti jazz sono episodici e i virtuosismi vocali – la nostra Lila è diplomata in canto – sono tesi soprattutto a esaltare il vigore tutto messicano dei quindici brani contenuti nel CD. Passo avanti? Passo indietro? Difficile a dirsi perché Una Sangre è uno di quei dischi cui era difficile dare un seguito giacché l’artista con esso aveva raggiunto l’apice del discorso musicale avviato due lustri fa, perciò pare appropriata la scelta con La Cantina di pigiare il piede sull’acceleratore, lasciare che la sezione fiati fiammeggi come una pietanza messicana e – fermo restando la classe di Lila Downs – strizzare magari l’occhio al mercato: La Cumbia del Mole è il suo primo brano ad essere sostenuto da un video.

Proprio La Cumbia del Mole è la canzone che apre l’album, scritta dalla Downs insieme al suo compagno d’arte e di vita Paul Cohen, ha un testo che è un viaggio tra le mille salse della cucina messicana e così finisce per essere anche una dichiarazione d’intenti per il menu musicale che seguirà. Il disco è stato registrato tra New York, Città del Messico, San Antonio e Austin: eppure all’ascolto dà l’impressione d’essere stato registrato in una sola sessione, segno che la complicità tra l‘artista e i suoi numerosi collaboratori era totale – da segnalare tra i session-men la presenza del leggendario fisarmonicista Flaco Jimenez.

Le quindici tracce del disco offrono tutte momenti d’interesse e alternano momenti d’emozione – Penas del Alma, a sonorità travolgenti – La Tequilera : qualcuno dirà che è un album di transizione e, forse, lo è, ma soprattutto è dimostrazione e conferma che Lila Downs è ormai signora e padrona degli infiniti sapori della musica popolare messicana.