Le scimmie “Colostrum” recensione

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Una delle cornici musicali più interessanti di questo periodo: ecco a voi Colostrum, nuova fatica de Le Scimmie.

Il disco, dato alle stampe a sei anni da Dromomania, grazie alla Red Sound Records e Metaversus PR, segna un ritorno nuovo, definito mediante sonorità mature e devianti, in cui synth e fx si arrampicano su intagli onirici e rugosi, ideali per definire appieno lo spirito di questa nuova fatica d’autore.

Un suono lontano, inquieto e rarefatto.

Ha inizio così l’overture di questo straordinario full lenght. Una lunga suite in grado di convogliare le osservative e malcelate inquietudini di un mondo in cui l’uomo dovrebbe apparire piccolo e cauto nei confronti di una Madre Terra millenaria. La sensazione desertica, piacevolmente intarsiata dagli accorti giochi sonori, sembra voler raccontare un mondo privo di fulcri espressivi ben delineati. Infatti, l’abile trio vastese restituisce un mondo oscuro ed oppressivo, in cui sensazioni (non lontane dal black metal) si fondono in maniera armonica e ben bilanciata da ardori doom e striature stonerizzate. Un mondo slow che fagocita l’ascoltatore in un antro espressivo che vale da solo il biglietto d’ingresso.

La struttura iniziale della titletrack appare caratterizzata da un sapore narrativo piuttosto nereggiante, in grado di limare le asprezze apparenti, fornendo all’ascoltatore una magnetica location posta tra il reale e il surreale. Una sincrasi espressiva che deriva, o meglio… devia verso la nordica espressività della work art.

Il mondo de Le scimmie si pone, dunque, ai limiti di strutturazioni nuove rispetto al loro esordio, giungendo a modellare sentori sabbathiani e rumorismi psichedelici, in cui perdersi sino al climax finale, atto conclusivo e ponte ideale per la restituzione del phatos iniziale.

A dare continuità emotiva al lungo brano iniziatico è invece Crotalus Horridus, aperta da un riff distorto, allineato agli antichi ardori della band, che tornano rivestiti da un’impronta indurita pronta a lasciar intravedere una musicalità cripto norrena, a mio avviso non troppo discosta dai gusti estetici di Quorthon, proprio grazie a rimandi epici, che sembrano avere una sottile linea di comunicazione con l’ultimo periodo dei Bathory.
Ma non spaventatevi, O voi che ragionate a compartimenti stagni…perché, a mio modesto parere, sento di dover precisare che questo (magnifico) disco non può e non deve essere valutato esclusivamente attraverso una mera categorizzazione; qui non esistono confini, proprio come dimostra Triticum. La traccia, posta sulle orme evocative di Colostrum, vibra attorno a sonorità granulari, distorte e avvolgenti. Un incipit profondo e corposo, ideale nel gettare trepidazione narrativa su drum set scarno e una reiterazione angosciante. Uno straordinario viaggio in un mondo perduto tra nebbie espressive ed ossessive.

A chiudere lo sguardo sulle afflizioni reiterate è infine Helleborns, trainante e ruvida danza, in cui le alterazioni sonore aprono lo sguardo alimentato da suoni piacevolmente disturbanti, posti al di sotto degli accordi diluiti e arrugginiti di un disco che con i suoi 32minuti devasta e conquista.

Tracklist:

1. Colostrum
2. Crotalus Horridus
3. Triticum
4. Helleborus