Led Zeppelin – Houses Of the Holy. recensione.

Led Zeppelin

Io ho avuto la possibilità, grazie ad un “angioletto”, di avere una base su cui sviluppare i miei interessi…ora bisogna fare in modo, per le future generazioni, che la storia non vada dimenticata.

Esistono band che possono cambiare la storia. Non si vuole parlare solo musicalmente, ma anche a livello di testo, di costruzione di un progetto, di emozioni. Proprio s questo ci si vuole soffermare, proprio perchè l’argomento di cui si tratterà viene confuso quasi sempre alla tecnica piuttosto che alla semplice percezione di una qualsiasi atmosfera proveniente dalla parte interiore del musicista. Jimmy Page è decisamente chi, più di tutti, insieme ai Led Zeppelin ha saputo portare un insieme di emozioni che hanno saputo toccare generazioni e generazioni, fino a portarli verso l’emisfero più lontano dell’immaginazione: quella che è possibile toccare solo attraverso le chitarre di Jimmy page; quella che solo le canzoni sanno regalare; quella che soltanto “Houses Of the Holy”, più di tanti altri, ha saputo trasmettere.

Il 1972 fu un anno molto prolifico per la band inglese, la quale compose molte canzoni che poi andarono a finire o nei lavori successivi d’inediti o in delle raccolte. In questo periodo c’è anche da tener conto un probabile cambio di direzione da parte dei Led Zeppelin, rispetto ai lavori precedenti, che portò l’album ad avere dei giudizi discordanti: sia Bonham che Plant avevano dei problemi, non solo di dipendenza, ma anche sul come dirigere la sonorità del cd; il vocalist sembrava essere propenso verso l’easy listening, mentre l’altro puntava sull’aumento della tecnica. Alla fine il risultato fu che entrambi i pareri collisero e fu creato un cd molto particolare che sembrava essere un riepilogo della storia della band e che poteva essere ascoltato non solo dai veterani, ma anche da chi avesse voluto avere un primo assaggio.

L’album si apre con una canzone quasi simbolo della band ( il nome di una colonna sonora e di un film ): “The Song Remains The Same”, una brano con una melodia formata attraverso il suono di 4 linee di chitarra e la voce in falsetto di Plant. La cosa che rende questo brano speciale è che esso costituiva una sorta di Ouverure per il progetto che si collegava immediatamente, attraverso la Gibson EDS-1275 di Page, con “The Rain Song”, la quale, invece, si apre con le due chitarre per poi lasciare spazio ad altri strumenti che, piano piano, sembrano sparire dalla composizione per farla ritornare alla forma originaria. Ma il momento clou dell’album sembra giungere con “Over The Hills And Far Away”, una canzone visionaria con probabili riferimenti alla marijuana. “Houses Of The Holy”, però, mostra nuovi tipi di sonorità per il semplice fatto che avvicina i Led Zeppelin ad altri stili che lasciano intravedere anche un minimo di accenno al progressive rock ( probabilmente l’esempio migliore è dato da “No Quarter” ) e al pop ( Dancing Days ), fino a giungere al funk di “The Crunge” ( brano autoironico alla James Brown ) e ad un distorsione della parola Jamaica ( D’yer Maker ).

Ogni cosa risulta interessante nell’album, persino la copertina per la quale ci si è voluti rivolgere allo studio Hipgnosis ( celebre per le copertine dei Pink Floyd ) e, quindi, al grafico Aubrey Powell che prese l’idea da un romanzo di Arthur C. Clarke: Le Guide Del Tramonto. L’immagine è un fotmontaggio che riproduce dei bambini in un paesaggio dell’Irlanda. Oltre a questo, si può notare, rispetto al passato, una considerazione maggiore del bassista John Paul Jones, nonché un notevole maggiore uso di molti altri strumenti.

“Houses Of The Holy” sembra classificarsi come il maggiore lavoro della band che, nella loro storia, sembra aver modificato qualcosa, ma che può, quindi, essere un ottimo punto di partenza per chi, ancora, non abbia ancora scoperto la bellezza presente nella poetica di questa incredibile band.