Lorenzo 2015 C.C. – Jovanotti – recensione cd

NULL

Il nuovo album di Jovanotti, almeno nella versione deluxe con 30 canzoni e oltre 2 ore di musica, si prefigura – agli occhi dell’ascoltatore – come una sorta di maratona acustica (o forse dovrei dire di un rally, visto l’abbigliamento da motociclista da enduro, indossato dall’artista in copertina).
Senza dubbio una bella sfida da parte di uno dei parolieri più talentuosi della musica italiana che, soprattutto dall’album “Safari” in poi (un disco magnifico, a mio avviso), non ha sbagliato più una mossa. “Lorenzo 2015 C.C.” ha veramente un motore con una grossa cilindrata – come suggerisce il titolo – i cui potenti cavalli sono rappresentati dai numerosi brani che sanno spaziare a 360°, sia con le innumerevoli contaminazioni stilistiche sia a livello del ritmo, sempre a corrente alternata.

Essendo impossibile passare in rassegna ogni singolo pezzo, le mie segnalazioni si limiteranno a quelli più rilevanti, tenendo comunque conto che la qualità generale è altissima, a partire dall’apripista “L’Alba” che, come approccio elettronico e cinematografico, con decine di concetti ed immagini disegnati in sequenza, ricorda un po’ la bellissima “Ora”. Il testo sottolinea inesorabilmente – da una parte – che il nastro del tempo non è riavvolgibile e indietro non si torna, ma dall’altra, che ogni nuovo giorno sta lì a ricordarci che il futuro ci permette di provare a dare una svolta alla nostra vita. La considero una sorta di instant classic. Il singolo “Sabato”, col suo andamento trascinante, lo abbiamo imparato ad ascoltare alla radio in questi ultimi tempi e non può non essere citato per la sua capacità di essere un po’ dolce amaro, con quel contrasto fra il desiderio di divertirsi che abbiamo nel week-end e, sullo sfondo, l’ombra della crisi che purtroppo ha tolto il lunedì lavorativo a molti, dilatando quel sabato, loro malgrado, per tutta la settimana.

Jovanotti ha l’invidiabile capacità di saper evocare quelle cose che stanno sepolte nella memoria, andandole a dissotterrare con una semplice frase buttata lì, quasi distrattamente. È il caso della bellissima “L’estate addosso” che con quel richiamo a “Cuccuruccucu paloma”, di “Battiatiana” memoria, ci catapulta indietro (anche musicalmente) a quelle calde stagioni dei primi anni ottanta. L’ascolteremo e riascolteremo, soprattutto da giugno a settembre, potete scommetterci. Con le ballate poi, che siano un po’ più lente (le romantiche “Le storie vere” e “Il cielo immenso”), o un po’ più spedite (la sfiziosa “La ragazza magica”), sa toccare le corde del cuore più delicate come già fece con “A te”, nel succitato “Safari” o con “Le tasche piene di sassi” in “Ora”. Gli auguro la stessa fortuna, anche commerciale, perché la pasta è esattamente la medesima, riuscendo ancora a emozionare, senza sforzo. Se poi si tratta di far muovere i piedi o il sedere, iniziando a ballare, Jovanotti non ha rivali: il ritmo quasi anni ‘70 di “Tutto acceso”, o l’elettronicissima “È la scienza bellezza” trasmettono una carica unica e già si prevedono masse di fan scatenati a saltare negli stadi sulle loro note. Qua e là si diverte a stupire con tracce come la dolcissima “L’astronauta”, che inizia col piano per poi essere stratificata di tastiere ed è un po’ una scusa per dire al proprio amore come, anche in caso di un’ipotetica spedizione nello spazio, sarebbe solo lei il primo e l’ultimo pensiero. Geniale.

Il disco “base” si conclude con una “Insieme” che riesce a sintetizzare in un unico brano l’intero disco, dove mischia praticamente tutto quello che ho provato a descrivere nelle poche righe qui sopra.
Due parole anche sul secondo disco che presenta più di una canzone all’altezza del primo ed un’alternanza di sperimentazione stilistica ancora più spinta. Si passa dai fiati potenti e le percussioni nella reppata “Melagioco”, attraverso il reggae di “Il vento degli innamorati”, passando per il pop semplice della splendida “Un bene dell’anima” fino alla world music mista ad elettronica di “Si alza il vento”, con le chitarre e le voci del cantautore del Niger Bombino sullo sfondo.

Il lunghissimo rally si conclude alla grande con i suoni caraibici di “Il riparo” e l’inno rock soul della conclusiva “7miliardi”, lasciandomi la personale sensazione che l’artista romano abbia fatto centro per l’ennesima volta, impreziosendo la sua carriera di un altro grandissimo album.