Loveless Whizzkid – We Were Only Trying To Sleep, recensione del cd.

Cd cover

Sicuramente è da ammirare il coraggio di questo combo catanese.

Se We Were Only Trying To Sleep fosse uscito nel 1995 sarebbe stato un buon disco.

Certo, qualche limatura e margine di miglioramento servono, ma sarebbe stato un buon esordio. Oggi, passata sotto i ponti la sbornia post rock, digerita la tentazione noize, è un disco che rischia di perdersi.

I richiami immediati sono ai padri dei su citati generi (Sonic Youth su tutti) con strizzatine d’occhio ad un certo stooner particolarmente acido. I tre catanesi, Davide Iannitti (chitarra e “voce”), Gabriele Timpanaro (basso), Enrico Valenti (batteria), non nascondono le influenza e a queste ancora troppo sono devoti.

Il track by track è presto fatto.

Il disco si apre con Lovely Ball Of Snot. Un arpeggio acido e liquido che trasporta immediatamente su strade psichedeliche. Riff iterato di chitarra fino all’apertura del cantato tipico, appunto, di Pixies e compagnia bella. Nulla di nuovo sotto il sole ma un inizio invitante per gli amanti del genere. Il solo centrale segue in maniera piuttosto pedissequa i dettami del genere. Chitarre aperte e batteria in perenne movimento chiudono il brano. Un plauso va a Enrico Valenti, punto di forza per l’intero disco.

Si prosegue con Blue Butted Baboons, psichedelica cavalcata che culmina nella parte centrale con il basso distorto di Gabriele Timpanaro sul quale si basa la melodia del ritornello lasciando a chitarra e voce la strofa.

Arriva poi Jessie’s disappered. Purtroppo, per suoni e intenzioni, sembra il prosieguo del brano precedente. Base “chiassosa” con basso saturo, strofa chitarra crunch e voce batteria con piatti aperti. Reminiscenze youthiane chiare e presenti specie nel solo totalmente noise.

Il disco va avanti con Axelle in Wonderland. Una delle tracce meglio riuscite. Anche se aleggia l’anima dei Fugazi sul cantato e sul riffing, il brano evolve piuttosto bene con piano-forte ben alternati. Buona la performance della voce, o meglio, le metriche. In linea col genere, Ianniti non può essere definito “cantante” in senso stretto.
C’è spazio anche per la strumentale We’ll Really Miss You, Santa Claus, viaggio acido e urticante che parte da una stazione persa in spazi siderali. Come i treni di una volta i primi passi non possono che essere lenti e cadenzati. Passi che poi si fanno decisamente più veloci e lanciati dalla chitarra fino all’epilogo finale.

Si arriva così, praticamente a metà percorso, al brano più pretenzioso del combo.

Con i suoi 9.19 The Golden Cockroach’s Pinball Song è il pezzo più lungo del disco. Ovvio che lunghezza del brano non sempre equivale a qualità del medesimo. Ottimo, nello specifico, il lavoro del basso che in più punti sostiene il brano. Molto buoni gli intrecci stop and go unitamente al breack centrale che dona respiro ad un brano diversamente lanciato a rotta di collo in un turbine sempre più crescente di note. Originale e inaspettato l’utilizzo di voce filtrata con un megafono per la reprise della canzone. Finale in accelerazione che si perde nella riproposizione dell’intro. Nell’insieme un brano ben riuscito e strutturato che nonostante la durata non annoia.

Su lidi più “poppeggianti” Cousin lizard. Definire un pezzo del disco easy listening non è semplice, ma dovendo scegliere questo Cousin è il miglior candidato. Spicca in questo caso la tecnica della sezione ritmica con levare di batteria e refrain “jezzato” del basso cui si sovrappone la causticità della chitarra. Uno dei punti più originali del disco.

Leggermente sotto tono la successiva Hail To The ‘Lil’ Gorilla. Un brano senza infamia e senza lode, come si usava dire un tempo. Un onesto lavoro che non aggiunge e non toglie nulla all’elettricità e alla forza del disco.

Diverso per la conclusiva Billie Joe’s Colourful Laughter, un buon mix tra psichedelia e post punk/noize.

Nel complesso un disco che segna il primo passo di una strada che auspichiamo lunga per questi catanesi. Qua e là si intravvedono sprazzi di originalità. Essendo il primo disco il tributo alle influenze è peccato veniale a fronte di diverse buone idee. Speriamo che con il prossimo cd i nostri rivelino maggiormente la propria personalità lasciando a sé gli ascolti adolescenziali e superandoli (in particolar modo per i riff di chitarra e metriche del cantato). L’indole e le capacità ci sono.