Marco Corrao “Storto”, recensione

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Un’aria minimale posta tra echi mediterranei e sguardi d’oriente. Inizia così Storto, album di inediti di Marco Corrao, cantautore nato e vissuto nel mondo della Trinacria. Otto tracce ricche di colori vividi e malinconici, che convivono nelle otto realtà edite da MrM Records, branch dell’Appalosa Records. Il disco, editato pochi mesi addietro, racconta di una riuscita sinergia tra le forme narrative più vicine al nostro cantautorato, qui posto sotto l’accorto influsso di roots eleganti, narrative e cromatismi delicati.

Sin dalle prime note il cantautore sembra volerci invitare ad assistere in maniera osservativa al mondo descritto in soggettiva, inizialmente definito da ridondanze e riverberi, posti ai bordi di un vivace Bistrot, in cui si perdono le vibrazioni genuensi dell’overtutre per avvicinarsi alle venature buscaglionesche, intercalate tra Paolo Conte e un personale talento narrativo. Infatti, proprio una delle particolarità espressive di Corrao sembra essere l’approccio romanzesco di brevi storie, spesso in grado di ricreare personaggi vividi, attraverso l’ironia (Scimmio), le paure (Le tue bellissime rughe) e la spensieratezza (che ritroviamo nella straordinaria Domenica del villaggio).

Le tracce, quasi sempre prive di ombre, dimostrano una certa abilità nel raccontarsi, anche grazie ai ragionati rimandi cantautoriali pronti a raccogliere non solo le lacrime melanconiche di Domiano, annoverabile tra le migliori composizioni, ma anche lo spirito folk, arricchito da spiriti espressivi di rara intensità.

A chiudere il disco sono infine i movimenti vintage-swing di Zucca Vuota e la straordinarietà espressiva di A Pittima, coraggiosa rivisitazione del brano deandreiano, qui trasposto il lingua sicula.

Se amate il mondo dei cantautori…il sentiero disegnato da Marco Corrao è quello giusto da percorrere.