Od Fulmine “Od Fulmine”, recensione

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Un fulmine ha spaccato in due la nostra imbarcazione dividendoci. Noi siamo in cinque. Lui è Od. Insieme eravamo Od fulmine

Oramai, da qualche anno, Greenfog Records e Prisoner Records rappresentano due vitali ed imprescindibili realtà della nuova scuola (indie) genovese che, con abilità e accortezza, è riuscita a dare alla luce prodotti interessanti e ragionati. Infatti, la Superba sembra vivere un periodo durato, intercalato tra il mondo underground ed il rock d’autore, vissuto come naturale evoluzione dei tempi passati. Gli Od fulmine, non a caso, arrivano a noi mediante fertili terreni gestiti da Esmen, Meganoidi e Numero 6, come una naturale conseguenza artistica, in grado di provocare reazioni emotive conciliabili con un mondo musicale diluito e libero. Un suono, dicono, in bilico tra Husker Du e Luigi Tenco, in grado di coprire un’emozionalità sonora estesa e ben studiata.
Il side project sembra, infatti, voler convogliare il retroterra culturale dei propri membri, definendo e ridefinendo con agilità, liriche introverse al servizio di post rock, indie e autorialità.

Il viaggio tra le nere nubi si apre con l’impronta alternative di Altrove 2, il cui andamento stop and go si pone al servizio del climax narrativo, qui arricchito da backing vocals e note stoppate. Aree compresse in cui la chitarra strappata funge da pattern fondante per la sapiente malinconia. L’ ottimo bilanciamento emotivo prosegue il suo sentiero con Ma Ah, grazie alla quale si iniziano ad intravedere le ottimali decisioni di post produzione, in cui i volumi e la lavorazione del suono appare quasi perfetta. La bass line ed il timbro graffiato si ergono in maniera tridimensionale sull’output audio, incanalandosi su di un tracciato orecchiabile ed immediato, proprio come dimostra l’inciso e la coralità vintage.

Se poi Nel Disastro arriva con facilità a restituire un anima alt-pop anni’90, l’ascoltatore è richiamato ad una gestione dei suoni più osservativa e cantautorale con 5 cose, la cui cadenza e i cui cori retrò ridisegnano i lati di una melanconia nostalgica, legata alle rimembranze del nostro soggettivo passato.

Tra i brani più interessanti, quanto meno dal punto di vista emotivo, segnaliamo 40 giorni, il cui incipit in Cake style viene argomentato da un ondulante avanzamento. La voce, immersa nelle ricercate sensazioni narrative, ci racconta un’estensione armonica in cui l’area d’ensemble finisce per abbracciare l’ascoltatore sino “Ad una via d’uscita”.

Le dieci tracce scorrono via veloci pronte a far innamorare per immediatezza e riuscito songwriting. Difficile trovare palesi sfumature ascoltando brani assoluti come I preti dormono, che, tra riverberi desertici e movimenti acustici restituiscono una lettura multilivello, in grado di accattivare un target piuttosto diversificato. Su di un dissomigliante orizzonte espressivo si pongono invece l’introversa aria di Ghiaccio 9 e Da quel giorno, che si maschera da nenia per poi approdare su impostazioni chiaramente alternative prima e punkettanti dopo.

A chiudere l’album sono i gracili e metodici influssi di Poverinoi, i cui richiami Afterhours anticipano Fine dei desideri che, con il suo groove diretto, firma l’atto di chiusura di un album sul quale non ho molti dubbi. Acquistate questa piccola perla indie, ve ne innamorerete.

Tracklist
1. Altrove 2
2. Ma Ah
3. 40 Giorni
4. 5 Cose
5. Nel Disastro
6. I Preti Dormono
7. Ghiaccio 9
8. Da Quel Giorno
9. Poverinoi
10. Fine Dei Desideri