Rebel Heart – Madonna – Recensione CD

cd cover

Per parlare di un disco di Madonna purtroppo, sembrerebbe quasi necessario avventurarsi in una lunga premessa per togliere prima quel substrato piuttosto spesso rappresentato dalle sue dichiarazioni, dalle immagini spinte e dai suoi testi blasfemi, ma anche dai molti pregiudizi del pubblico verso un personaggio tanto unico quanto scomodo della pop dance di tutti i tempi. Ma, sinceramente, vorrei starmene alla larga il più possibile da tutto ciò, concentrandomi solo su quello che mi interessa di più (la musica) e andare dritto all’essenziale.
Ebbene cominciamo col dire che, rispetto all’ultimo disco (“MDNA” del 2012), la qualità generale è certamente salita ed il motivo è che in qualche modo, nella maggior parte dei (ben 23) pezzi inseriti nella supedeluxe edition di “Rebel heart”, tornano in prima linea sia la sua voce, che da circa 35 anni, personalmente, non finisce di affascinarmi, sia il gusto per la melodia.

Non che la sua ormai consolidata ossessione per la sperimentazione nella musica dance sia sparita (brani del genere ce ne sono ancora), tant’è che in studio di registrazione ha chiamato alcuni fra i produttori/dj più in voga degli ultimi anni come Avicii (la splendida “Wash all over me”) e Diplo (la cavalcata del primo singolo “Living for love”). Ma questa volta, tornando indietro all’inizio degli anni 2000, ha recuperato quel piacevole vezzo di inserire, all’interno dei suoi brani, alcuni strumenti tradizionali, come pianoforte e chitarra acustica (si pensi a “Don’tell me” in “Music”, o a “Love profusion” in “American Life”), fornendogli quel sapore pop radiofonico che mancava da tempo nei suoi album.

Il cuore pulsante di “Rebel heart” quindi è formato da un numero imprecisato di affascinanti ballate elettroniche, normalmente midtempo, come la ritmata “Devil pray” o “Ghosttown”, che sembra uscita da un album di Rhianna. Con “Hold tight”, invece, la memoria va più che altro ai suoni (da noi tanto amati) di “Ray of light”, con tappeti di tastiere usati per disegnare lo sfondo.
Una bellissima “Joan d’Arc” che inizia lenta per poi accelerare un po’, spezza in due il disco ed è veramente un regalo per chi attendeva da anni che l’artista americana si rimettesse a cantare per emozionare i suoi fan e non solo per, come dire, far muovere solo i piedi. Fra i pezzi migliori non si può non citare la title track, chiaramente autobiografica nella quale Madonna descrive un po’ il suo spirito di bastian contrario che sin dagli esordi la caratterizza.

Il meglio in assoluto in verità sta nel secondo disco con “Beautiful scars”, “Borrowed time” e “Graffiti heart”, un trittico speciale che giustifica alla grande l’acquisto dell’edizione “gigante” di questo Cuore Ribelle che ci ha restituito la nostra eroina in splendida forma, quando oramai avevamo quasi perso la speranza.