One more Language “From Inside To Outside”, recensione

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Parlare una lingua differente è di per sé una sfida che si intraprende con noi stessi, esattamente come giungono a fare i One more Language, con il loro tentativo di inseguire la necessità di inusuali storie ( o meglio poesie musicate), in cui si palesano echi di ricercata arte compositiva.

Il disco, licenziato da Musica Cruda, si racconta con creatività e pochi fronzoli, attraverso emozioni eleganti, che sembrano fermare il mondo circostante, assorbendo l’attenzione dell’ascoltatore.

Il gioco scarno ed osservativo delle note iniziali di Mapping si offre, sin dalle sue prime note, come tappeto sonoro di un coralità vocale, che sembra voler rimandare ad arie retrò poste al centro di un’inclassificabilità ricercata. Una mescolanza di tradizioni e discordanze espressive, in grado di rivisitare modularità espressive vicine al mondo classico.

La traccia si erge tra le colline della sua partitura mediante note cadenzate, pronte a raccontare per il piacere di raccontare, a prescindere da azioni e reazioni.

Le note crude si vestono d’eleganza apparente con l’inquietudine Di questo catino di mondo , in cui il calore vocale si accompagna ad un ascolto tutt’altro che immediato. Uno sviluppo elitario, ragionato e scomodo nel suo avvicinarsi allo spoken word vivo in liriche descrittive e visionarie. Tra silenzi e passaggi drammaturgici il disco si dipana attorno alle intuizioni cripto noise di Parole migranti , ideali nella loro ritrovata soavità terminale, e la discosta Un altro lunedì, in cui archi delicati si scontrano con vocalità filtrata e battiti barrettiani.

Se poi con le aperture della Separazione il combo cade in un anglofonia tutt’altro che ideale, con Il tragico naufragio del vapore Sirio ottiene il proprio apice espressivo, nascosto tra le onde di un mare che giunge a lambire i canti del dopoguerra. Una sognante nenia che chiude un disco poliedrico in grado di mostrare con orgoglio la propria necessità di ricerca.