Roberto Ventimiglia

ventimiglia.jpg

Un candido ed elegante digipack in cui il titolo ( a dire il vero non molto accattivante) racconta in gentile calligrafia una minimale illustrazione fumettistica che tanto ricorda le chine di Vettori.

Un booklet graficamente interessante, in cui i testi popolano fotografie dall’aria perdutamente vintage.

Un gentile cantautorato lo-fi.

Ecco i tre vertici del mondo narrativo di Roberto Ventimiglia, cantautore dedito a sonorità analogiche, in cui delicatezza e poeticità si mostrano come travi portanti di un extended played semplice e comunicativo.
Nulla di particolarmente germinale, ma piuttosto un omaggio sentito alla propria amante: la musica.

Infatti, proprio dalle sei tracce del debut, l’autore pontino sembra voler dichiarare un deciso sentimento verso armonia e leggerezza, qui in grado di emozionare e incuriosire. Un estemporaneo collage di istantanee in cui l’autore mostra un’alternanza accorta tra lo sguardo introspettivo e quello posato su di una realtà avvolgente, proprio come accade nelle note solitarie di If we were cats e nelle sponde musicali di May, ponendosi come incipit di un progetto spinto da una piacevole urgenza narrativa.

Aprendosi verso strutture emozionali definite dai controcanti, si delinea una rurale via da percorrere tra delicatezza e silenzi. Quasi sottovoce la tracklist scivola in arpeggi e toniche (Just Fred) in grado di instaurare un reale dialogo con la linea vocale che, mostrando rette alternative tipiche dell’oltreoceano, va ad estendersi verso caratteristiche compositive vicine all’ermetismo, qui destabilizzato dalla conclusiva Under Britain’s sky, in cui l’accortezza alt viene abbandonata in favore di divergenze pop-autoriale…(forse) unico anello debole di un disco da ascoltare ad occhi chiusi.