Secret Sight “Day.Night.LIfe”, recensione

sscat.jpg

Spesso e volentieri mi capita di ascoltare questa frase: “Eh si, bravi! Ma sono italiani… fossero americani…”. Una stupida (concedetemi il termine grezzo e barbarico) concettualità esterofila, tipica del nostro malcostume, in grado di mortificare prodotti musicali, che in Italia non trovano le ali per volare.
Oggi, con soddisfazione, posso dare inizio a questa nuova argomentazione dicendo che I Secret Sight SONO ITALIANI, e mi sento di doverlo scrivere in maiuscolo…urlandolo, anche se, in fondo all’ascoltatore non dovrebbe importare molto della provenienza di una band, ma inevitabilmente, determinati meccanismi mentali, continuano e continueranno ad aggrovigliarsi a preconcetti oramai inalterati da anni.

Dunque, superato lo scoglio geografico, potrete godere di un disco che riesce a donare con vis e groove impeccabile nuovi respiri a quel mondo dark-new wave di metà anni ’80.

Quattro artisti anconetani che, forti di esperienze pregresse, arrivano a dare alla luce ( grazie alla Red Cat Records) un debut davvero intenso e coinvolgente, guidato dall’esperienza di Paolo Rossi, già responsabile di produzioni di Soviet Soviet, Brother in law e Be Forest.
L’album che (fortunatamente) di moderno non ha nulla, se non alcune intuizioni esecutive, fonda il proprio ego nelle cupezze dark del recente passato, filtrate da sentori alternativi, melodie nere e pressanti, in cui la straordinaria esternazione vocale di Matteo Schipsi dona all’ascoltatore la bussola per orientarsi tra i meandri oscuri delle tracce.

Ad aprire il viaggio nel vintage è la straordinaria Conquest, che da sola vale il (moderato) prezzo del biglietto . Scintillanti sentori dark-new wave (che molto devono all’age d’or italiano) offrono spazi comunicativi, i cui passaggi chitarristici sembrano voler donare ventate d’apertura verso nuovi orizzonti. Lo squarcio chitarristico arriva a citare auree alternative, senza però perdere i cromatismi in scale di grigio. Una sorta di Joy division style pronto ad aprire al mondo Bauhaus, mantenendo inalterata una propria personalizzazione.
Posta sulla medesima linea ritroviamo poi l’ interessante impostazione ritmica di Earth Overflows, che definisce una delineata anima alla canzona stessa, attraverso un sei corde che molto ricorda i passaggi della trilogia del potere. Un interessante apporto dato dalle keyboard, si pone poi come elemento di naturale derivazione nella seconda parte del brano, in cui un passaggio cripto-epicizzante, dona confini austeri e spigolosi al climax narrativo.

Se poi l’ottima bass line si manifesta attraverso i suoni di Need, con Under this truth il caratteristico timbro espressivo trova spazio tra il battente e minimal drum set e le genuine intelaiature vintage, che ridonano freschezza al disco mediante ridondanza e accortezza, elementi basico di Indelible, in cui si modernizzano sentori Cure anni’80, attraverso una strutturazione decadente quanto il descrittivismo terminale di If you turn.

Un disco che arriva ad offrire una nuova ambientazione per la Red Cat Records, sempre più attiva e sempre più attenta a guardare oltre i confini.