Songs for Silverman

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Ben Folds, e chi è Ben Folds? Per chi ancora non lo sapesse, tanto per cominciare sarà bene dire che Ben Folds viene dalla Virginia, ma non è certo un redneck (intraducibile: dispregiativo usato per definire gli americani conservatori degli stati del Sud) e questa situazione ha certo contribuito – in un carattere decisamente anarchico – allo sviluppo di uno stile distante anni luce dalla musica che siamo abituati a veder arrivare da quella regione degli Stati Uniti. Invece di ispirarsi agli Allman, Ben Folds elegge a musa Elton John e Billy Joel, perciò niente chitarra ma pianoforte, forma così un trio – ma lo chiama . Ben Folds Five – con basso e batteria, che dopo essersi fatto le ossa on the road esordisce discograficamente nel 1995. Nei 5 album incisi come trio Folds alterna numeri bizzarri a prove da grande autore di canzoni finché nel 2001 pubblica il primo album interamente a suo nome, sciogliendo l’anomalo “quintetto”.

Songs for Silverman è quindi il primo album dopo quattro anni di silenzio e fin dal primo ascolto dà l’aria d’essere il disco della maturità: tra le 11 canzoni che lo compongono c’è n’è persino una tenerissima composta per la figlia Gracie, ma manca ogni traccia – tanto nei testi che nelle musiche – del gigione che fu. Non che Ben Folds prima fosse solo un clown, già il secondo album conteneva un gioiello di songwriting maturo come “Brick” ma adesso questo lato della sua scrittura domina il lotto.

Meglio o peggio?

Né meglio né peggio, solo diverso; credo che questo album deluderà chi aveva amato canzoni come “One Angry Dwarf and 200 Solemn Faces” o “Song for the dumped” ma farà scoprire Ben Folds al pubblico che ama brani melodicamente ricchi e serviti da testi fitti di osservazioni argute. Il salto di qualità rispetto al passato è netto e conferma che Ben è artista vero che in quanto tale non ha paura di rischiare.

L’album si apre con “Bastard” che lamenta come “i ragazzi oggi crescono troppo in fretta/non vedono l’ora di fare il baciaculo a qualcuno” un attacco al mondo dei grandi che fa venire in mente “I don’t wanna grow up” di Tom Waits: dieci anni fa Ben Folds non faceva pensare a Tom Waits, questa è crescita. Splendida la terza traccia “Jesusland” che lungo una melodia appoggiata da cori celestiali racconta l’America tetra e grigia di oggi “From offices to farms/Crosses flying high above the malls/along the walk/Through Jesusland”: la musica fa pensare a un sogno (americano) che le parole dicono finito. E siamo così alla quarta traccia, traccia? Gioiello!!! songwriting al massimo livello, uno dei testi più belli e maturi mai ascoltati sulla fine di un amore, appoggiato a una melodia che è gioia per l’udito quando sfocia con naturalezza in un ritornello memorabile: “Landed” è una delle 3-4 canzoni più belle che mi sia capitato di ascoltare in questo scorcio di 2005, uno di quei brani che valgono un album.

Ben Folds ha curato anche la produzione di questo suo lavoro e come strumentisti si è avvalso di Jared Reynolds al basso e di Lindsay Jamieson alla batteria, più una serie di session-men che hanno arricchito e variegato il tappeto sonoro dell’album.

Nel DVD che accompagna l’album Ben Folds dimostra che il clown che è in lui non ci ha abbandonati: il dietro le quinte della realizzazione di “Songs for Silverman” inizia con l’inquadratura di un tavolo da biliardo e Ben che da comsumato buffone imita Rick Danko nella celeberrima scena d’apertura di “The Last Waltz”. Il tutto fa ben sperare per gli spettacoli dal vivo!