Stormwolf “Howling Wrath”, recensione

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Digipack.
Booklet che ritrova lo stile anni 90.
Tracklist di 9 tracce (più due bonus track).
Cover art che abbandona stilismi digitali per ritornare nell’antro dello spirito pittorico che ha caratterizzato gli heavy masterpiece di ieri.
Cosa volete di più?

Se il monaco si vede dell’abito, potreste tranquillamente acquistare questo disco a scatola chiusa, perché le buone premesse ci sono tutte. Ma chiariamo subito gli Stormwolf non inventano nulla. Non sono nulla di originale e non vogliono essere altro che una heavy metal band di stampo classico, in cui ritroviamo le armonie dei Loudness, Running Wild e Dokken, qui mescolati a stilismi (estetici) Iced Earth.
La band arriva da Rapallo, decisa a fondere strutture marcatamente HM con striature blues, anche grazie alle attitudini cromatiche di Elena Ventura, non perfetta ma potenziale icona di un mondo che da decenni raccoglie proseliti e interesse.

Howling Wrath, primo disco ufficiale dei rapallesi, arriva dopo gavetta ed opening act, inseguendo un old school fatto di riffing aperti, heavy power e sapori teutonici, mostrando inediti, cover e tracce già presenti nel demo d’esordio. L’album promosso dalla Red Cat viene inizialmente sospinto da un vento epico, posto in attesa della femminea vocalità narrativa. La Fascinosa vocalist , sin dai primi passaggi di The Phoenix, ci invita traverso una vivace empatia anni 80, da cui emergono guitar solo, virtuosismi ed armonie.

L’impronta Maiden di alcuni passaggi si fonde con piacevolezza alle trame grezze di Winter of the wolf, traccia ben strutturata anche grazie ai funzionali chorus, che segnano il proprio sentiero con atteggiamenti symphonic.

Il riuscito mood riesce a delimitare i confini di una composizione in cui emergono piacevoli ombre vintage, qui pronte ad offrire distorsioni glam con Marathon sino a giungere alla cavalcante Swordwind, probabilmente annoverabile tra le composizioni più interessanti. Rapida e ben armonizzata, la partitura definisce le reali potenzialità della band, qui in grado di destare idee sopite al fianco di una inevitabile perfettibilità.

Il quintetto, infatti, non sempre riesce a tenere il piede sull’acceleratore, ma le zone buie sono limitate ad alcune scelte stilistiche a dire il vero opinabili. La struttura della band, pur sacrificando parzialmente il suono della bass line, riesce a delineare tecnicismi avvolgenti in cui perdersi senza titubanze, proprio come accade con il tapping, pronto a raccogliere idee su scale strumentali curate, visionarie e piacevolmente evocative. Da qui si riparte alla volta di One False move che, insieme alla riuscitissima Me against the world, rende il giusto omaggio ai Lizzy Borden ed al loro shock rock degli albori.

Un album, pertanto, (a tratti ) acerbo ma (senza troppi dubbi) convincente, in cui convogliano sensazioni di un heavy metal senza tempo.

Tracklist

The Phoenix
Winter Of The Wolf
Marathon
Fear Of The Past
Swordwind
Lightcrusher
Thasaidon (Instrumental)
Soulblighter
All We Are
One False Move
Me Agaist The World