Syk “Atoma”, recensione

syk.jpg

Partiti dai meandri fobici dei Psycochofagist, tornano a bordo del tram dell’Inphantile collective per cavalcare l’impatto estremo e scomposto di Atoma, deflagrante full leght grind-free-noise. Sette tracce basate su di una concettualità fondamentalmente legata agli intrecci conoscitivi, che legano il nostro passato all’iper- presente .

Atoma è il nome del sole interno al nostro mondo, posto al centro del pianeta, qui raccontato mediante strutturazioni liriche che accostano e avvicinano le divinità all’uomo, mediante allegorie oscure che rendono il songwriting inquieto e misterico. I am the god, i am the black sun, when the skies will broke my hand will be shrewd. Cosi si legge tra le righe nereggianti dell’overture, dalla quale si percepisce immediatamente un’ afflizione celata tra le urla scomposte di Dalila Kayros, anima narrante e visionaria. Proprio l’espressività distopica ed alienante funge da ingranaggio essenziale per una lettura libera ed interpretativa.

Il disco, posto al centro di un mistico triangolo tra sperimentazione, sentori Godflash e graffi avant-grind, si erge tra le righe dell’iniziatica titletrack. Un impulso tecnocratico i cui sapori Selfless riesumano strutture industrial, mediante un ipnotico battito sonoro da cui fuoriesce un freddo abisso espressivo e claustrofobico. Le sensazioni nereggianti e metodiche vengono acuite dall’impronta byorkiana della linea vocale, maestosamente ridefinita tra iracondia e follia.

Un sogno oppressivo che trova le linee di condotta in The observer, in cui l’impronta noise si evidenzia al meglio con reiterate intrusioni sonore, che allontanano banalità e concretezza. La libertà esecutiva sembra infatti voler strappare a morsi l’autorevolezza della quattro corde dalla narrazione stessa, giungendo ad annodarsi attorno ad ardite impostazioni espressive. Da qui si giunge ad attraversare terreni nordici, per chiudersi poi nell’apparenza armonica di Un-god-KNOW sinistra e disarticolata perla vagante.
Gli intrecci emozionali conducono il gelo espressivo verso cambi direttivi e rumorismo accorto, nutrito da sonorità cicliche e occludenti , proprio come dimostra la struttura espressiva di Vacuum, che finge di inseguire armonie scontate per scarnificarle e defraudarle della loro essenza.

A chiudere l’album è Herset la Tari, probabilmente tra le tracce più interessanti del platter, grazie al suo indirizzamento onomatopeico, spigoloso e indurito, in cui trovano spiragli le oscillazioni vocali di una narrazione difficile da percepire per chi dirige il proprio interesse verso forme normalizzate di espressione artistica.

Un album in grado di avvicinare mondi potenzialmente discosti, al servizio di una non realtà costruita su linee distorte e piuttosto anguste.

TRACKLIST

1. Atoma
2. The Observer
3. Obsydian
4. UN-god-KNOWN
5. Auburn
6. Vacuum
7. Herset La Tari