Talea – Alessandro Viti – Recensione cd

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Chi segue e legge le mie recensioni su Music On Tnt potrà aver notato che raramente mi concentro su artisti emergenti, preferendo dedicarmi maggiormente al così detto mainstream. Tuttavia, ogni tanto, mi capita di imbattermi (in questo caso virtualmente, trattandosi di un “incontro” su Facebook) in persone interessanti e di talento che ritengo meritino di essere messi in evidenza e conosciuti da chiunque desideri esplorare nuovi universi, senza fermarsi a solo quello che le case discografiche considerano “degno” di essere ascoltato.
È certamente il caso di Alessandro Viti, già al secondo lavoro dopo l’esordio con “Madia” del 2012, che ci presenta questo suo nuovo e cantautorale “Talea”, definito da lui stesso come “concept sulla rinascita e l’adattamento”, proprio come una talea che riesce a rigenerarsi da sola, anche in una nuova terra.
Stilisticamente, a mio avviso, almeno tre elementi saltano subito all’orecchio: le melodie, che pur suonando spesso radiofoniche non risultano mai scontate – la predisposizione ad una versatilità stilistica che, pur senza esagerazioni, piacevolmente spiazza, e – infine – l’accuratezza dei testi, che spingono l’ascoltatore ad un approfondimento, senza limitarsi a “restare in superficie”.

Con piacere mi sono immerso in questo mondo musicale creato, oltre che dall’estro di Alessandro, anche da un gruppo di musicisti che dimostrano di sapere il fatto proprio, sin dall’introduttiva e strumentale title track, dove il piano dello stesso autore è incorniciato da archi sognanti. Il primo pezzo cantato è il seguente “Sotto la tua stessa luna”, dall’approccio prevalentemente acustico e dal piglio uptempo, nel quale spicca il violino ispirato di Stefano Giovannone. Il testo parla della necessità di cambiare e di partire per sentirsi di nuovo vivi (“scusami se parto e non resto il mondo quando cambia vuole un cambiamento è da troppo tempo che ci penso ma da troppi anni non sento il vento”), ma possibilmente tentando, almeno in parte, di relativizzare il dolore del distacco da coloro che abbiamo amato, perché dopo tutto, in fondo….“ballerò sotto la tua stessa luna”).
Il ritmo rallenta con la ballata rock (notevole il breve assolo di chitarra di Massimiliano Stefano) “Da che parte sei” nella quale l’artista s’interroga sulle diverse dicotomie che dividono la nostra vita, come la propensione a guardarsi indietro piuttosto che quella di vivere il presente, o quella di rassegnarsi al proprio destino, piuttosto che tentare in qualche modo di ingannarlo. La struttura del brano è studiata nei minimi dettagli, partendo dalla prima strofa in cui la prospettiva si sviluppa da ciò che è più vicino a noi, come la mente, passando via via per la strada, la città fino ad arrivare all’universo e al creatore (“c’è una fede che divide…che divide l’universo: da una parte c’è Dio e Nell’altra chi l’ha perso”), in una sorta di climax introspettivo di rara intensità.

C’è spazio poi per un episodio divertissement che, sia per il sarcasmo sia per lo stile, potremmo definire alla Vinicio Capossella. Il pezzo s’intitola “il Pendolare” e descrive la dura vita di chi la mattina (come, ahimè, il sottoscritto) si alza sapendo di dover vivere la terrificante esperienza della caccia al posto, su treni fatiscenti e affollati. Non voglio rivelare il finale della storiella, perché vale la pena gustarsela tutta, magari con la consapevolezza che ogni tanto è bello lasciarsi andare a una sana ironia, anche in un disco profondo come “Talea”.
A proposito di profondità, ne è imbevuto anche il pezzo seguente “Essenza” dove Viti, accompagnato di nuovo da una chitarra acustica e dal solito violino, dolcemente ci parla dello spirito con il quale vanno affrontati i “graffi” della vita, sapendo che il tempo e l’amore sapranno a loro modo “disinfettarli”. Il disco chiude con tre pezzi molto eterogenei: “Il Segreto” (dal cullante andamento iniziale, che si distingue soprattutto per l’originale rock/rap finale di Marcello Necci), la morbida ballata piano e voce “Ho fatto naufragio” (ispirato ad una frase del poeta portoghese Fernando Pessoa) e la finale “Talea (in una nuova terra)”. In quest’ultimo brano – praticamente parlato, con le voci di Viti e Jessica Tagliaferri che si mescolano come in un vortice di emozioni – emerge lo spirito dell’intero album: anche se la vita a volte sembra prendersi gioco di noi l’importante è viverla comunque, gustandosi ciò che siamo capaci di goderci, a fianco alle persone che ci amano e con le quali tornerà sempre viva la speranza di un cambiamento (“torneremo a giocare, vedrai! In una nuova terra”).
Termino questa mia recensione augurandomi semplicemente che Alessandro Viti riesca in qualche modo ad essere ascoltato e conosciuto: sono certo che potrà essere apprezzato ed uscire dalla nicchia di quegli artisti che non riescono a trovare una major solo perché non suonano come “qualcuno vorrebbe” (leggasi omologati…..come “Amici”, “Xfactor” e compagnia bella), preferendo dedicarsi alla musica come ad un’arte e non solo ad un business.