The fence “14” recensione

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Dopo qualche settimana torniamo a parlare della (R)esisto Distribuzione, questa volta per analizzare il debutto dei The Fence, ensemble lagunare dedita ad una mescolanza pop-rock, in grado di relativizzare ogni collocazione rigida.
L’extended played sembra volersi ispirare ad una serie infinita di grandi autori, tanto che nell’attentivo ascolto ritroverete sensazioni Queen e Muse mescolate a rigurgiti eightees.

L’ep ha inizio con All that matters to me, curiosa traccia introduttiva, che mira a coniugare sensazioni Meat Loaf con il ritmo in levare, qui nutrito da un impatto popular molto spinto. Un chiaro spirito easy che ci riporta al mondo mainstream di fine anni’80, in cui la leggerezza e l’impostazione priva di orpelli giocano un ruolo essenziale per il quintetto.

Sulla medesima linea si pone poi Don’t be said che sembra dover molto al mondo di Sleeping with the past, attraverso una timbrica accogliente e ad una serie di passaggi keyboards semplici e riusciti nel loro intento di colpire sin dal primo ascolto. Nonostante alcune ombre nell’amalgama sonora, che finiscono per penalizza a tratti la quattro corde, i The fence si propongono consapevoli del loro sentiero oscurato dall’aria vintage piacevolemtne espressa con Nowhere Land, i cui confini blandamente elettronici non riescono ad emergere come i riverberi di Shame. L a traccia, tra le più coraggiose (ed interessanti) pare in grado di portare in sinergia il rock di stampo italiano con l’animosità del tango, attraverso vocalizzi interessanti, che però non trovano ancora l’apice dell’attesa potenzialità.

A chiudere 14 è l’introversa Run and Hide, da cui si palesa un ottimo approccio della sezione ritmica, assestata attraverso un impostazione quasi evocativa.

Un disco che promette un futuro in crescita, ma che ad oggi appare più un microcosmo propedeutico a ciò che avverrà.