The Sade “Grave”, recensione

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Osservando booklet e cover art, la prima idea è stata quella di inquadrare l’opera in un classico e nereggiante mondo new wave di fine anni’80. L’iconografia, rafforzata dalla foto session dell’inlay, avrebbe potuto portarmi verso la certezza delle intuizioni iniziali, ma i The Sade appartengono già da qualche anno al mio database musicale; pertanto, grazie alla cosiddetta cognizione di causa sapevo di non sapere cosa sarebbe stata quest’opera terza del poliedrico trio.

Infatti, dopo la scheggia iniziale e il modulato reboot, le nuove danze non potevano che aprirsi con una cavalcata (in)attesa in Run to the hillsstyle, resa però cupa e profonda da una gotica linea vocale appoggiata su riusciti controcanti catacombali…e non ci sono dubbi: basterebbe la magnificenza dell’iniziatica Prayer per definire i contorni artistici del power trio veneto. Una traccia in grado di riesumare gli antichi fasti del metal, aprendo i cancelli delle idee, qui formate attorno ad una corpulenta bass line che mostra il sentiero di The Raven in cui i sentori Peter Steel emergono evidenti su rimandi Cult e aperture armoniche, in grado di ridisegnare gli intenti privi di reali fulcri espressivi.

La band, infatti, riesce con naturalezza a definire un’opera di valore. Un valore che supera e matura le idee del recente full lenght, fornendo alle partiture spessori e aperture impreviste, proprio come dimostra l’impronta punkeggiante di Seek seek seek, composizione pronta a giocare tra citazioni e assonanze divertite. Le note, sostenute dal drumming di Matt Sade, ci trainano poi verso venature new wave di Afterdesth , brano dai cromatismi neri, posti tra Type of negative e ritmiche dark chiaramente ottantiane, ideali nel deformare l’irrealtà mediante riusciti cambi di direttivi e orrorifiche alienazioni vocali.

Ma il mondo dei the Sade non si può certo rinchiudere nella cella delle categorizzazioni. Pertanto, non stupitevi certo del blues in SOA style di Black leather, piccole e grezzo capolavoro evocativo, in cui le note del diavolo di incrociano con aperture facilitanti di una vocalità che nostra i propri graffi, apparendo l’arma dorata di una band su cui porre la propria attenzione.

Così, dalle impronte doom, che a tratti rendono l’animo occluso e ridondante, si passa al puro punk rock di Graveyard, traccia dalle reminiscenze Misfist. Da qui si riparte verso un’emozionalità tipicamente filmica andando a rinverdire la teatralità dalle tonalità di grigi, qui immerse in toni epici, pronti a virare prima verso le metriche acustiche di Coachman (giungendo a toccare sensazioni di impolverato western sound) e la grezzezza di Burnt poi.

A chiudere il viaggio della band è infine il mood osservativo di Nictophilia , la cui ridondanza black anticipa la brevità espressiva di Charlie Charlie, traccia strumentale in cui lo spanish taste chiude un disco in-ca-ta-lo-ga-bi-le e coraggioso.

Tracklkist

1. Prayer
2.The Raven
3. Seek Seek Seek
4. Afterdeath
5. Black Leather
6. Graveyard
7. Coachman
8. Burnt
9. Nyctophilia
10. Charlie Charlie