Captain Mantell “Dirty White King”, recensione

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Siamo giunti al sesto album. I Captain Mantell arrivano ad una nuova fatica, questa volta targata Overdrive, Dischi Bervisti, Dischi Sotterranei e Cave Canem DIY. Una numerosa sinergia per un disco perfettamente inquadrato dalla straordinaria opera artistica della coverart, in cui visioni surrealistiche paiono abbracciate a linee pittoriche pronte a schiudere l’irrealtà e la diversificazione, qui innestata in maniera marcata su impianti grunge anni’90 (Dirty whute king e Blood Freezag) e rock diretto (The invisible wall), posto al servizio di ritmiche irregolari e tratti ipnotici.

Un sentiero nereggiante in cui il tema della ribellione mostra contorni neri e vesti oscure che lambiscono il mondo Soundgarden (Stuck in the middle ages) e la poesia classica, presente con riferimenti pronti a palesarsi su Worst case scenario/alone, posto tra spokenword e toniche. Un sound destabilizzato, che accompagna l’ascoltatore all’interno della visionarietà pece di Seals of Blackening. L’istericizzazione inquieta della traccia mostra, con i suoi blandi accenni disturbati e le sue tribali metodiche reiterate, l’apice espressivo di un disco fondamentalmente evocativo e per certi versi filmico.

La narrazione concettuale del simbolico regicidio, pur vivendo tra le ombre dell’oscurità, mostra a tratti aperture sonore e angoli meno convincenti (Livor Mortiis), surclassati dalla singolarità filtrata nei suoi passaggi semplici e diretti, pronti a condurre Tommaso Mantelli tra la voce e i violoncelli di Inner Forest, composizione in cui i primi anni’70 accelerano il proprio corso verso un minimalismo atto ad unire sentori Liverpool con note contemporanee.

L’album torna poi verso le lande di un post-rock (Days of Doom) celato da stilemi psych, disturbati da un uso invasivo del sax, per poi orientarsi verso l’osservativa e lisergica In the dog graveyard (interposta tra il mondo di Marylin Manson ed uno stoner edulcorato) e l’ottimale And nothing more to come…maybe, i cui volumi e silenzi impreziosiscono la distorsione ansiogena, viva e piacevolmente narrativa. Un piccolo viaggio che da solo riesce a rappresentare potenza e potenzialità di una band in grado di raccontare osando e osare raccontando.

Tracklist

1. Dirty White King
2. The Invisible Wall
3. Stuck In The Middle Ages
4. Worst Case Scenario/Alone
5. Blood Freezing
6. Livor Mortis
7. Let It Down
8. Inner Forest
9. Days Of Doom
10. In The Dog Graveyard
11. Even Dead
12. And Nothing More To Come…Maybe