Francesco Gabbani Tour 2017. Genova

gabbani.jpg

“…e non ha mai criticato un film senza prima, prima vederlo
Rino Gaetano

Premessa

Mal sopporto il mainstream pop
Gabbani è mainstream pop,
dunque mal sopporto Gabbani.

Centinaia di migliaia le visualizzazioni su You Tube, premi e dischi di platino. La mia semplice domanda è: perché?

Nel momento in cui ho iniziato a scrivere questo articolo, non sapevo di preciso motivare la fenomenologia di Francesco Gabbani, fondamentalmente perché frequento poco il genere pop rock italiano, ma, da sempre, sono curioso per natura; ecco perché, pochi giorni prima di assistere al live dei Carcass e dei Marduk, mi ritrovo ora sotto il palco del vincitore sanremese.

Proprio come fu per al tempo per i reportage su Duran Duran, Elisa o Capossela, esempi di musica posta agli antipodi di ciò che ascolto solitamente per puro piacere, spinto dai miei due figli, innamorati del cantautore carrarese, mi ritrovo destabilizzato e disorientato nel tentativo socio-antropologico di capire perché Francesco Gabbiani piaccia così tanto a pubblico e critica.

Immerso nella mia soggettività intinta nel mondo delle estremità sonore, con il senno di poi, ora posso capire con più nitidezza il successo dell’artista, alla luce di una serie di contingenze particolari che hanno creato un cocktail vincente, preparato in un momento storico-musicale in cui si è costretti ad ascoltare la vacuità imbarazzante di Modà, Emma Marrone, Alessandra Amoroso et similia.

Infatti, l’autore toscano, primo nella storia del festival sanremese a realizzare una doppietta consecutiva (vincitore nel 2016 tra i giovani e vincitore acclamato nel 2017 tra i big), sembra ergersi dalla banalità espressiva, grazie ad un insieme di fattori in grado di conciliare idee semplici e dirette, poste ai confini di una orecchiabilità agile e snella, allineata ad un songwriting in cui l’aspetto semantico cela spesso un’indagine multilivello, talvolta eccessiva e apparentemente forzata, ma quantomeno presente.

Di certo l’effetto tormentone esiste, ed è innegabile, ma dietro alla composizione di Gabbani, oggettivamente parlando, si palesa un attento sguardo in grado di osservare a 360° il mercato “facile”, cedendo a ritmiche ed arrangiamenti minimali, ma celando intelligenza e sarcasmo.

Questo non significa che da oggi io possa considerarmi un fan da prima fila, ma almeno ora ho la motivazione che va a spiegarmi il successo di Francesco Gabbani. Una spiegazione che mi arriva grazie ad un concerto, habitat naturale per comprendere le potenzialità reali di un musicista abile e poliedrico.

Il concerto.

Il live genovese, ottimamente organizzato da Palco sul Mare Festival, trova la sua naturale collocazione nell’area del Porto Antico genuense. Infatti, è l’ormai la tradizionale Arena dal Mare ad ospitare un numeroso pubblico, pronto a dar battesimo alla serata di inaugurazione della 22a stagione del Festival ligure, storica kermesse musicale, attenta da sempre al mondo della musica nostrana.

Nell’attesa del tramonto, però, a salire sul palco sono Dan e i suoi fratelli, acerbo ma curioso ensemble dedito ad un gioviale rockabilly in Happy Days style. Il quartetto milanese offre ritmo piacevolmente vintage attraverso ri-arrangiamenti in chiave rock and roll, portando al pubblico danzante Salirò, Come mai ed Estate, cover attraverso le quali si percepisce un’ottima intenzione stilistica che, pur mancando ancora di una necessaria alchimia, diverte e trasporta anche (e soprattutto) attraverso due riusciti inediti (Non ho niente ed il doo-wop de La mia ragazza speciale), che vanno ad anticipare la travolgente chiusura di Johnny be good.

Attorno alle 22:00 l’attesa dei tanti bambini presenti presenti trova finalmente il sorriso di Francesco Gabbani, pronto a salire sul palcoscenico, accompagnato dalle note introduttive di Magellano, ideale apertura al servizio di un viaggio sonoro che porterà gli astanti a rivivere i tre full lenght raccontati dell’autore carrarese.

Il buio ormai è calato sul mare, aiutando così gli iniziali effetti di luce e la luminosità delle bacchette fluorescenti pestate sul tamburo d’apertura, durante il quale appare tra il pubblico uno striscione pronto ad alzarsi timido: “ Il nostro primo concerto sei tu!”.

Nel sottopalco, infatti, centinaia di bimbi osservano curiosi l’entrata del artista, resa immediatamente danzante dal tormentone estivo Tra le granite e le granate, che smuove inevitabilmente tutta la platea coinvolta (con mestiere) dall’autore. Gabbani mentre gioca con il suo pubblico in maniera accorta, ragionata e ben studiata, imbraccia la propria chitarra rossa per percorrere in “equilibrio” la strada verso il Rock di Clandestino, a mio avviso uno dei pezzi più interessanti della serata, insieme a A moment of silence, piccola e semplice perla pop. Sul medesimo orizzonte si pone poi l’introduzione piacevolmente scomposta de I dischi non si suonano, che a tratti sembra ricordare il Vasco Rossi di Non siamo mica gli americani. La traccia ritrova poi il suo groove armonico con il rientro della band sul palco, poco dopo l’uscita in favore della piacevole ed emozionale parentesi in cui il frontman propone il proprio sound accompagnato solamente dai tasti bianconeri di Immenso, perfetta per mitigare l’omaggio celentaniano di Susanna, riproposta in versione electro-kitch.

Tra i momenti più attesi del live (lapalissiano dirlo) ecco poi arrivare Amen e ancor prima la stra-conosciuta Occidentali’s Karma, riproposta anche come seconda reprise nel finale. Durante la canzone vincitrice dell’ultimo Festival di Sanremo, inevitabilmente si accendono gli entusiasmi dei presenti oltreché un fastidioso numero di smartphone, pronti ad immortalare un momento che avrebbe dovuto essere vissuto attraverso i propri occhi e non attraverso uno schermo.

Superando il mio fastidio nel vedere la tecnologia invasiva al cielo, mi distraggo esplorando i sorrisi delle nonne e dei genitori che osservano i propri figli cantare divertiti ogni parola della canzone sanremese poco prima di vivere il clapping hands del riuscito omaggio a Enzo Jannacci con Vengo anch’io. No, tu no atto anticipatorio dello spoken word legato a La mia versione dei ricordi, dolce e coinvolgente espressione cantautorale.

L’immancabile bis regala infine le gucciniane strofe di Foglie al gelo e la ragionata genuinità di Pachidermi e pappagalli, in cui il sarcasmo contro le teorie complottiste volge a raccontare in poche mosse un’epoca distorta e terribilmente social, attraverso testi in grado di elevare Francesco Gabbani al di sopra della banalità.

Chiosa Finale.

Sono le 23:45 la gente sciama verso l’uscita e io, nel mio piccolo, penso di aver compreso il perché del successo ottenuto Francesco Gabbani; cercherò di sintetizzarlo in poche e scarne parole: tecnicismo, poliedricità, empatia, furbizia e note easy listening. Pertanto, come detto in incipit, non ero un fan di Gabbani e non lo sono ora, ma non posso negare che (grazie o per colpa dei miei figli) qualcosa di lui inizia per davvero a piacermi.