The unsense “Betelgeuse”, recensione

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The Unsense e’ un progetto che nella musica, nei testi, e nel mezzo utilizzato gioca sul limite, gioca sul punto di unione che esiste fra gli opposti, fra il rumore e il silenzio, fra la parola e il non senso.
Questa è la straordinaria descrizione che gli Unsense danno si se stessi. Poche parole in grado di restituire l’essenza reale di una band incontrata qualche anno addietro, ma che solo da oggi hanno iniziato a far parte di me, perché dopo le buone premesse de Il Pifferaio di Pandora credo che abbiano finalmente concretizzato le già ottime potenzialità iniziali.

Nonostante la cronica mancanza di storicizzazione di nuove band underground, il sestetto varesino, sembra uscire dai canoni del banale, affrancandosi dalla normalizzata linea temporale, giungendo (con naturalezza) a destabilizzare il prima e il dopo, dando origine ad un cupo post wave d’impatto. Sonorità claustrofobiche, ma al contempo liberatorie, in cui influssi anni ’80 sembrano voler ricamare nuovi tessuti osservativi.

Infatti, in mondo degli Unsense sembra proprio partire dalla cover art stessa, in cui la cupezza dark di una città dormiente viene innocentemente liberata dal candore della neve, pronta a fondere “nuove” impronte alle partiture, che per certi versi portano alla mente gli spigoli della Trilogia del potere.

Di certo la band non si limita ad osservare, ma finisce anche con l’osservarsi nella sua veste inquieta e visionaria, in cui il marchio onirico delle note si espande verso non-confini distopici privi di tempo, che trovano in brani come One il proprio fulcro narrativo.

Il disco si apre con vocali aperte, mostrando un’impostazione inquieta e nereggiante, definita da una calda e presente linea di basso, su cui si appoggiano le doppie vocalità disorientanti. Un’impronta new wave sofferta, in cui la rabbia positiva sembra ricordare quella di Manuel Agnelli, posta qui tra richiami orientaleggianti e una straordinaria teatralità drammaturgica. Un’impostazione narrativa che pervade il disco sin dal suo incipit. Infatti, l’anima oscura non tende ad inutili forze centripete, ma rimane ben salda alle strutture iniziali, proprio come dimostra Pandora, riuscita traccia, abile nel suo condurre l’ascoltatore verso antri profondi. Suoni grezzi e battenti che si amalgamano ad andamenti pseudo noise e collanti dark …probabilmente annoverabile tra le migliori tracce di questa opera seconda.

Il viaggio tra i grigi espressivi raccoglie poi favori anche grazie ad un attento songwriting, che sembra cucirsi alla perfezione sulle partiture a tratti agè ( Creta), per poi dilatarsi verso Nessuno sa dove finiremo, nebbia post-rock posta al servizio di una narrazione visionaria e minimale.
Se poi con Va in the radio l’immaginifico del full lenght cade nel deja ecù, con la conclusiva Tu sei il giorno, la band scrive il punto iniziale del prossimo disco, attraverso suoni diluiti e sensazioni di non realtà, in cui i The Unsense vogliono vivere, sospesi tra il mondo dei primi movimenti dark e l’oggi

Un disco (forse troppo lungo) che definisce percorsi narrativi studiati e ben armonizzati, appoggio metaforico alle riflessioni (sur)rali che tendono a condurre altrove…