Tom Torke – The Eraser, recensione.

cd cover

Una busta di cartone, tante righe nere, dei bolli rossi.
Fin dalla confezione l’album solista di Tom Yorke si distingue.

L’opera grafica di Stanley Donwood, (una serie fittissima di linee nere raffiguranti una tempesta che oscura il cielo, delle onde che sommergono Londra e un uomo solo che tenta di fermarle) si adatta perfettamente al concept che sta dietro a questo lavoro del nostro tormentatissimo Tom, voce e “regia” dei Radiohead, universalmente riconosciuta come la band più influente, stupefacente e spiazzante degli ultimi anni.

Personaggio davvero unico il nostro Tom.

A capo di un gruppo formidabile, creatore di universi immaginifici strabilianti, ma anche (o forse proprio per questo) in perenne lotta contro la depressione, contro l’ansia di guidare forse la più importante band del mondo, contro la pressante richiesta di creare sempre e comunque…

Questo disco nasce proprio dalla sua volontà di prendere una pausa dai Radiohead, di staccarsi e tornare unico, nel senso di uno, solo.
Ed è proprio questa la sensazione che si ha sentendo questo disco: si ascolta la solitudine angosciosa di un uomo.

Tutto porta in questa direzione: la scelta stilistica di una grafica monocolore, l’utilizzo di un genere musicale solitario per antonomasia come l’elettronica, o ancora l’utilizzo della voce umana in modo angosciato angosciante e cristallino allo stesso tempo.

Ogni canzone è un piccolo capolavoro, un cesello di suoni creati da una elettronica minimale ed asciutta, e colorato da una voce drammatica e straziante che poche volte ricorda la voce che conosciamo dai Radiohead.
Ogni pezzo, chi più chi meno, cerca di rendere la sua esperienza, la sua solitudine ma in fondo, forse, anche e soprattutto la sua speranza nel futuro.
Man mano che si procede lungo la carrellata di canzoni, non si può infatti non pensare alla copertina,
con quell’omino tutto solo che cerca di fermare quelle onde così imponenti.

E forse, ce la fa.
Forse Tom riesce per un attimo a staccarsi dai Radiohead, a tornare un’altra entità distinta. Con fatica e sforzo, ma forse ce la fa.

Racconta in questo disco di una solitudine, di un angoscioso sguardo al mondo contemporaneo che sembra non capire, anche se così bene lo sa raccontare.

Ma che bello questo racconto, anche se triste e tormentato, come si rimane attoniti nell’ascoltarlo!

La sua voce diventa grido di aiuto, urlo liberatorio o animale intrappolato in una gabbia di loop elettronici, da lui stesso voluti.

Ricorda la migliore Bjork questo disco e questo modo di cantare che arriva dritto ai nervi se non al cuore.
E riesce a comunicare tanto, tantissimo.
Si sente a tratti forse un po’ la forzatura da “One man band show”.
Il lavoro fatto da Yorke è davvero notevole ma forse un po’ troppo solitario.

I maligni direbbero che sembra un “manuale” di Garage Band o di programmi simili che permettono di montare intere canzoni da un solo computer, che si sia lasciato prendere la mano ed abbia prodotto questo lavoro monocorde.

I maligni, forse, potrebbero avere anche ragione.

Disco comunque bello, bellissimo, importante.
Un disco che certo non vi metterà di buon umore, ma è anche vero che non si ascolta la musica solo per poter ridere.