Utveggi “Altri Mondi”, recensione

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È uscito il secondo album degli Utveggi. Si, in effetti è uscito qualche mese addietro e mi rendo conto di essere in palese ritardo sulla tabella di marcia. Pertanto, nascondendomi dietro al banalissimo “meglio tardi che mai”, torno a parlare con entusiasmo della band siciliana. Un entusiasmo (moderato…perché la moderazione fa parte di me) che avevo già palesato per il loro debut, la cui linea stilistica viene perseguita da questi nuovi e “altri mondi” targati Almendra Music.

Dopo otto date in terra nipponica e dopo una fugace apparizione nel mainstream della regina televisione, la band torna con 16(!) istantanee, graficamente raccontate da un ottimo packaging e da un curato booklet su cui il marchio Almendra continua a narrare la propria elegante storia.

La narratività del quintetto siciliano ha inizio in un lontano passato tra le armi bianche di Gamba Re, traccia liberamente ispirata alle storie calcistiche di Osvaldo Soriano. Un’impostazione stilistica riuscita, legata ad una sorta di bipolarità espressiva in grado di dare l’immagine di una band coraggiosa e tecnica, abile nell’allineare stilismi branduardiani a spigoli Marlene Kuntz, mostrando ironia ed iperboli (qui cripto-alpine).

Sin dalle prima note, non ci sono dubbi nel percepire la follia ironica della band, vi basterà ascoltare le ridondanze stranite di Altrimondi ed il minimalismo scomposto di Disattivazione, dove l’impronta prog anticipa i pseudo tribalismi di Mutaforma, in cui tornano sonorità orientaleggianti mescolate ad un sound prettamente seventies. Oriente che tona a rivivere Mizu e Caffè, tracce nipponiche che utilizzano la lingua giapponese per narrare attraverso l’utilizzo di stilemi rock progressivi, qui mescolati a tradizione e innovazione.

Tra le migliori tracce mi sento costretto a citare gli eccessi di Agghiriccàgghirriddà, scompenso psicotico ed onomatopeico, posto sul medesimo orizzonte di Polizia a Kyoto che, al pari di Aceto Rock, ci traina verso scompensi punk e itinerari free.

A dare chiusura all’ottima nuova release sono il southern rock (qui inteso come sincrasi tra il concetto sudista d’oltreoceano e quello prettamente italiano) di Kelvin & Clyde e l’aurea acustica di Figlio della sconfitta e nipote della vergogna, in grado di confermare ancora una volta l’uso della voce intesa (anche) come struttura armonica attraverso cui raccontare emozioni.