When I was Cruel (2002) , North (2003), The Delive

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Alla fine dell’estate del 2002 i fan di Declan MacManus – alias Elvis Costello – tirarono un sospiro di sollievo: otto anni dopo l’ultimo lavoro in studio il loro idolo presentava un album tutto nuovo e tutto suo. Non che Costello – noto per l’iperattività e l’amore per la musica – in quegli anni avesse riposato sugli allori: un album a quattro mani con il leggendario Burt Bacharach, uno con la soprano Anne-Sophie von Otter; queste ed altre cose avevano confermato la versatilità e l’inestinguibile voglia di sperimentare del Nostro, ma erano distanti da ciò che lo aveva reso uno degli artisti più importanti degli ultimi tre decenni, già ammesso – a neanche cinquant’anni – alla Rock & Roll Hall of Fame.

Un artista prolifico come Costello una volta ripresa la mano non poteva certo limitarsi ad un solo album ed ecco che a settembre 2003 e 2004 abbiamo visto arrivarne altri due di album, tre in tre anni quindi, che pure senza contare i dischi con bonus tracks che li hanno accompagnati sommano ben 39 nuove canzoni ad un catalogo che per vastità è secondo solo a quello di un Bob Dylan o di un Neil Young.

Scrivo queste righe nel Maggio del 2005 e ora come ora è scongiurato il rischio che Costello – impegnato da mesi in una tournée planetaria – il prossimo settembre faccia 4/4, perciò avventuriamoci alla ri/scoperta di questi tre album.

Elvis Costello finito il contratto con la Warner adesso incide per la Universal; le etichette ormai sono state tutte incorporate dalle major, ma è comunque interessante vedere su quale etichetta viene pubblicato un album perché dà l’idea del pubblico cui si rivolge la musica che contiene, veniamo perciò ai tre dischi in questione: When I was Cruel (2002) etichetta Island, North (2003) etichetta Deutsche Grammophone, The Delivery Man (2004) etichetta Lost Highway. Il marketing vorrebbe farci credere che mister MacManus abbia inciso tre album del tutto diversi tra loro – rock, classica e country – che sia un artista uno e trino, la realtà è più semplice: Costello è un talentuoso songwriter che riversa nelle canzoni che scrive una enciclpopedica cultura canzonettistica che include i generi e gli stili più svariati – senza dimenticare la passione per la musica colta. A differenza di musici più giovani di lui che pure vantano “mille influenze” nella loro musica – peones come Beck o Ryan Adams – Costello nei suoi album mantiene sempre una coerenza stilistica, o tematica per meglio dire, ove il cambio di genere funge da rinnovato canovaccio per la sua scrittura di canzoni.

Oltre che a tre etichette discografiche questi tre album sono legati pure a tre momenti della vita personale di Elvis Costello: il primo album è venuto dopo la fine del matrimonio con Caitlin O’Riordan – Cait of the Antarctic, come recita la dedica – il secondo rappresenta il superamento dell’esperienza del divorzio dirigendosi a North (Nord, appunto, via dall’Antartide?) mentre il terzo è dedicato a Diana Krall, la cantante jazz che Costello ha sposato un anno fa.

Per finire questa lunga ma credo necessaria introduzione va ricordato che questi 3 album sono i primi in cui Elvis Costello è accompagnato da The Impostors – che differiscono dagli storici The Attractions solo per il cambio del bassista giacché il bravo Bruce Thomas, causa dissidi personali con Elvis, ha lasciato il posto all’ottimo Davey Faragher; ovviamente a completare il gruppo gli straordinari Pete Thomas alla batteria e Steve Nieve al piano.

“When I was cruel” si apre con “45”: un numero che è un anno – quello della fine della Seconda Guerra Mondiale, da cui Elvis fa iniziare la storia – ma che indica anche i giri del disco che di lì a poco con l’avvento del rock segnerà una rivoluzione nella cultura popolare. Buona idea che Costello – notoriamente accanito collezionista di 45 giri – abbia scritto una canzone a proposito, una bella canzone rockeggiante, un buon singolo orecchiabile. Costello ha dichiarato più volte di non voler essere identificato da 4 canzoni scritte quasi 30 anni fa, viene così spontaneo giocare a chiedersi: quante di queste canzoni valgono il meglio del suo catalogo?

Diverse, la già citata “45” poi “Tear off your own head” ma secondo me questo album contiene due brani che sono hors catégorie perché mentre da una parte innovano il Costello-style dall’altra confermano la leggendaria abilità melodica del Nostro. Prima di tutto c’è “15 petals” – “15 petali, uno per ogni anno che ho passato con te” un classico testo alla EC dove tutto il mondo entra in scena per fare da sfondo vivo alla narrazione dei suoi tormenti personali, in questo caso i 15 anni del già citato matrimonio con la O’Riordan.

La canzone è strepitosa e arrangiata lussuosamente: EC provvede chitarre su chitarre nonché il basso – e che basso! – Steve Nieve è all’organo Hammond ma a segnare il brano è una spledida sezione fiati le cui parti sono state scritte da EC stesso. Questo è il risultato dei tanti anni spesi a studiare musica seriamente: in “When I was cruel” come nei due album seguenti Costello padroneggia ormai la tecnica che gli consente di curare ogni dettaglio della sua musica. L’altro gioiello cui mi riferivo è alla traccia 14: “Episode of blonde” dove EC declama su un ritmo ballabile un testo verbosamente allucinante dei suoi migliori/peggiori (dipende dal punto di vista) che poi sfocia in un ritornello che è una delle melodie più elaboratamente belle che abbia mai scritto.

Una delle cose più interessanti di “When I was cruel” è la rinnovata vitalità chitarristica di Costello, soprende perciò nel disco del 2003 – “North” – notare l’assenza dello strumento. Benché pubblicato su Deutsche Grammophone – e nonostante la presenza del Brodsky Quartet – questo non è un disco classico ma di atmosfere jazz: non a caso il primo album di Diana Krall dopo il matrimonio sarà firmato quasi tutto a quattro mani dalla coppia Krall-Costello, a testimonianza dell’interesse di EC per il genere.

“North” contiene 11 canzoni che EC ha composto al piano – ma ovviamente nell’album è Steve Nieve ad occuparsi dei tasti bianchi e neri. I testi sono una grande sorpresa perché per la prima volta in vita sua EC parla “plain and simple” come dicono dalle sue parti, niente maschere ma un uomo a nudo in cerca di una rinascita (avvenuta in corso d’opera giacché il brano di chiusura si intitola “I’m in the mood again”). Sia come sia “North” è un album ricco di grandi musicisti e di grandi canzoni. Oltre al già citato quartetto Brodsky troviamo ospiti del calibro di Lee Konitz e tanti session-man di prima scelta. Gli arrangiamenti delle canzoni sono tutti sostenuti dal piano con i fiati e gli archi – arrangiati e diretti da EC – che esaltano con fine sapienza il delicato tessuto musicale.

La canzone che manda al tappeto al primo ascolto è “Still” che si piazza subito nella mia personale top20 del canzoniere di Costello, ma i brani ispirati sono tanti: Someone took the words away, You turned to me, Fallen, When it sings, I’m in the mood again e la già citata Still sono le sei canzoni super ma il resto è comunque solido e sopra la media. Forse la raffinatezza degli arrangiamenti rende “North” un album difficile per le orecchie che praticano troppo il rock, comunque è un disco che premia ascolto dopo ascolto perché ricco, ricchissimo di ottima musica. All’uscita del mitico “Imperial bedroom” il critico musicale del New York Times tirò in ballo Gershwin, dinanzi a “North” nessuno ha tirato in ballo Cole Porter, eppure è con quel genere di songwriting che Costello si misura qui e forse per questo l’album sarebbe stato ancora più grande se EC avesse affidato le parti vocali a una grande voce.

Se i due album di cui ci siamo occupati finora erano stati salutati con poco interesse dalla critica, l’uscita di “The delivery man” ha scatenato i “pennasfera” d’Occidente, tutti entusiati e svelti a ricoprire di stelle l’album che è stato decantato come “il disco più americano di Costello dai tempi di King of America”. E poi le mie aspettative per questa raccolta erano alte perché avevo letto un’intervista alla rivista inglese Word in cui Costello dichiarava che si sarebbe trattato di un concept album con una serie di storie legate alla figura di un delivery man e a suo dire tutto ciò costituiva il miglior mucchio di canzoni che gli fosse capitato di scrivere negli ultimi anni.

Cocente la delusione all’ascolto: album americano? Sì ragazzi, ma ricordiamoci che l’America è un grande paese, “King of America” sapeva di Delta e di New Orleans, questo album sa di country – vecchio amore di EC. Strada facendo poi il concept si è diluito perché EC ha deciso di eliminare alcune canzoni e di presentare il resto in ordine confuso così che è impossibile ricostruirne la storia.

Le 13 canzoni dell’album oscillano tra momenti rock e country ma in entrambi i casi manca la canzone degna di entrare a vele spiegate nella top20 del canzoniere di Costello: ciononostante “The delivery man” è un bell’album. Contraddizione? no: le canzoni non sono eccelse ma sono solide e The Imposters suonano alla grande, senza dimenticare che le ospitate – in particolare quella di una scatenata Lucinda Williams in “There’s a story in your voice” – si rivelano momenti felici. La canzone che preferisco è “The name of this thing is not love” che ha uno splendido attacco che va così: “There’s a part of this feeling/that I just cannot kill/but the name of this thing is not love/and I can’t take a potion, and/I won’t take a pill/so it tortures me still/but the name of this thing is not love” melodia semplice ma efficace ben disegnata dalla voce di EC. “Monkey to man” è una canzone trascinante mentre “The scarlet tide” chiude l’album con Elvis all’ukulele accompagnato dal canto di Emmylou Harris: nella sua essenzialità è il momento più emozionante del disco.

Bell’album come dicevo ma non degno del miglior Costello, potrebbe piacere a chi di solito non lo ama.

Per concludere direi che mentre le vendite hanno premiato “When I was cruel” – il solo dei tre ad essersi affacciato nella top20 di BillBoard – l’album più completo – quello in cui Elvis Costello è riuscito a realizzare il suo proposito di non essere identificato da quattro canzoni scritte quasi trenta anni fa – è senza dubbio “North”.