Intervista ad Andreas Vollenweider

andreas vollenweider

Abbiamo incontrato per voi Andreas Vollenweider, un musicista che dai primi anni ’80 porta avanti con coerenza un percorso musicale e stilistico su cui ovviamente i gusti personali si dividono come accade sempre, ma che non genera sospetti, perché nel tempo si è mostrato lontano dai collegamenti con le mode che sono via via andate e venute. Gli stringo la mano nella sala delle colazioni dell’hotel, dove in un’atmosfera rilassata abbiamo scambiato chiacchiere non solo musicali.
Gli ricordo che a inizio anni ’90 ha suonato al teatro olimpico, qui a Roma, e lui ricorda bene. La mia visita nel backstage a fine performance fu divertente perché volevano portarlo in discoteca, con lui decisamente riluttante; lo ricorda ridendo e ribadisce che no, non è propriamente il posto che ama di più. Ora rieccolo, a portare in giro per il mondo un concerto che ha il nome di uno dei suoi primi dischi (che al tempo erano neri), Caverna Magica. Gli chiedo come mai questo ritorno, come mai non un tour classico sull’ultimo lavoro, che in questo caso è Midnight Clear.

AV: Beh, a volte “l’ultima cosa” può essere nel passato… comunque non è a questo che pensavo quando ho progettato il tour. Sento che ogni cosa ha il suo “ambiente perfetto”: c’è per fare l’amore, per mangiare… e c’è anche per questa musica. Questa è musica concepita per vivere un processo interiore. Quel che ho realizzato è che questa idea della caverna, quasi un utero, pone chi ascolta in una situazione che invita all’ascolto interiore, all’andare dentro sé stessi. E’ una buona preparazione per il processo di entrare in sé, l’ambiente migliore per farlo. Voglio dire: puoi essere il miglior cuoco del mondo, ma l’ambiente, l’atmosfera, sono un passaggio introduttivo importante per godere della tua cucina. Puoi essere un grande mago, ma per tirar fuori il coniglio dal cappello devi aver preparato la magia, devi settare le giuste luci… Ecco perché Caverna Magica. Sono in una fase della mia vita in cui non ho l’obbligo di reinventarmi continuamente; posso anche permettermi di riflettere me stesso, ritrovare quel che ho fatto di buono nel passato e portarlo in un nuovo contesto, che è la musica che ciascuno trova dentro sé. Sono uno che racconta storie, mi piace che questo accada nel giusto ambiente e so che questa musica ha dato fortemente emozioni a molti tra quelli che mi conoscono.

MoT: Provo a farti arrabbiare: non sarà mica un modo per richiamare o tenere con sé il “vecchio” pubblico, in tempi così duri per la musica?
AV: Potrebbe anche essere, ma non è questo il problema, perché in questo senso io potrei suonare tutto quel che voglio, so che il mio vecchio pubblico viene sempre e verrebbe comunque. Il problema attuale è che è molto più difficile prendere contatto col pubblico nuovo, più giovane; siamo in una fase in cui lo stile di vita dominante non è entrarsi dentro, è l’opposto: uscire fuori, distrarsi, divertirsi senza pensare, dimenticare tutti i problemi. E’ una situazione problematica per le persone e anche per questa musica, che invita a riflettere su sé stessi, sulle proprie paure, cercando anche l’ambiente teatrale per invitare a questo, e non è questo che oggi la gente vuole.

MoT: In questo senso per te potrebbe essere stato un po’ triste veder la tua musica catalogata come new age, musica anti-stress, sottofondo per aeroporti…
AV: In realtà no, perché anche in questo caso si tratta di un ambiente acustico sonorizzato con una musica che può essere usato come stimolo… se vuoi farti stimolare. Questa musica non è mai servita a mostrare quanto sappiano suonare bene i musicisti che la fanno; è una musica inutile senza l’ascoltatore, che la fa completa con il processo di portarla dentro sé. E’ costruita per essere usata in questo modo.

MoT: Hai sempre composto così, in questa direzione?
AV: Più o meno sì. In alcuni casi non propriamente così. Cosmopoly ad esempio è stato un progetto in cui sono stati coinvolti molti musicisti diversi, da varie parti e culture del mondo, ed è stato concepito e poi realizzato in modo diverso, con una grande componente improvvisativa o comunque con un approccio diverso: l’intero lavoro, a parte gli interventi orchestrali, è fatto di first take, con me e i musicisti che cominciavamo a registrare e a suonare subito, passando l’intera giornata insieme, senza ingegneri del suono o console di mixaggio… una sorta di salotto, suonando continuamente, alternando con il barbecue, un tè o un bicchiere di vino e selezionando poi il materiale migliore.

MoT: Ti piacerebbe riprovare quel tipo di esperienza?
AV: Sì, certo! Anche tornare a qualcosa di sinfonico mi piacerebbe presto… in realtà non ho preclusioni né capitoli che considero definitivamente chiusi. Il mio solo obiettivo è fare una musica che sia per le persone, in una direzione che credo sia quella di cui c’è bisogno. Mi piace offrire qualcosa che credo sia importante e stia mancando. Sono un servizio di pubblica utilità!

MoT: In questo senso pensi che l’offerta del mercato musicale sia cambiata da 10-20 anni fa ad oggi?
AV: Drasticamente, anche perché non c’è più il mercato. Non puoi chiamare questo sistema un mercato… si sta eliminando il concetto di valore: tu puoi avere qualunque cosa in qualunque momento, e questo sta facendo perdere alla musica il suo impatto, il suo valore. Io però credo ci sia qualcosa di nuovo che sta nascendo. E’ sempre così: quando qualcosa sta morendo c’è qualcos’altro sotto che nasce o rinasce, che cresce; è un processo senza fine. L’industria musicale sta morendo, non potrà più esistere come piattaforma per i musicisti, per promuovere la loro musica, perché ormai è solo business, non contiene più alcun aspetto culturale.

MoT: Si va verso un contatto più diretto col pubblico, speriamo…
AV: Sì, con internet sta accadendo realmente, il contatto esiste, la gente lo usa davvero.

MoT: Anche per vendere, magari a prezzo più ridotto… Tanto lo sai bene che su emule con un file mi scarico i 25 anni della tua discografia…
AV: Sì… In realtà guarderò come le cose si svilupperanno via via. E’ però vera anche un’altra cosa, riguardo il discorso del download: non si prende una pillola a meno che non se ne abbia bisogno. Se hai un problema e realizzi che la soluzione è non pensarci, uscire fuori da te e distrarti, non vorrai mai sentire questa musica, comunque. Nessuna industria e nessun mercato ti convinceranno a comprare. Io non sono utile in un contesto del genere. La mia presenza prescinde dalle forme presenti e future, che siano internet o un negozietto di dischi, o un concerto: l’essenziale è che quanto noi offriamo sia puro, che la sua integrità sia garantita. Questo è ciò che posso fare, quello per cui lavoro da una vita: vivere quel che prometto, promettere quel che vivo. Questi obiettivi mi sono chiari, sul resto non posso fare nulla. Guardo, e sono convinto del fatto che l’istinto umano tornerà in un mood contemplativo, in cui il potenziale dormiente di ciascuno venga utilizzato. Ho avuto la fortuna di poter conoscere parte di questo potenziale, e mi piacerebbe ispirare le persone a cercarlo, a non abbandonare la ricerca dicendo “è tutto qui”. Abbiamo tutti questo potenziale, ma si torna al coniglio nel cappello: per ottenerlo dobbiamo seguire delle regole, un percorso dentro il mondo del potenziale che è dentro noi. Storicamente del resto la musica è stata molto spesso uno strumento per riflettere, per generare un percorso.

MoT: Tra l’altro anche conoscere noi stessi è parecchio divertente!
AV: Sì, assolutamente! Io direi che è molto meglio di un film d’azione! Molte persone hanno paura di quel che potrebbero trovare dentro di loro, dentro i loro problemi, le loro angosce… sì, può spaventare, ma questa è… qualità, questo… sei tu! E’ la tua vita, contiene il messaggio su chi sei tu, su cosa puoi fare. La musica è la chiave per poter accedere a questo giardino interiore, che contiene tutto ciò di cui hai bisogno per conoscere chi puoi essere davvero.

MoT: Questa interazione tra chi ascolta e la tua musica, sia chiaro, fa sì che tu debba suonare live fino a novant’anni…
AV: Benissimo! In ogni caso non ci sarà mai un problema tecnico di supporto tecnico; la musica arriverà dentro chi ne ha bisogno, con qualunque mezzo sarà disponibile. Le persone diventeranno di nuovo affamate di cultura, sarà di nuovo così.

MoT: Io lo spero, tu invece ne sei sicuro, si direbbe…
AV: Assolutamente sì. E’ sempre stato così!

MoT: E’ che forse è vero che manca anche una guida, una linea, un modello nuovo…
AV: No, questa fame verrà fuori da dentro. Tra la prima e la seconda guerra mondiale c’è stata una situazione simile, la gente era stanca e voleva ripartire, ci fu una rinascita culturale potente…

MoT: Dobbiamo aspettare l’ennesima guerra?
AV: “Questo è il problema…”…Non penso che la guerra sia in sé un’opzione, una possibilità per risolvere questioni. E’ un business, gestito, controllato. Per capirci: non credo che l’America andrà in guerra contro la Cina; sarebbe un suicidio economico. Per il resto in giro pare ci debba essere sempre una guerra; c’è un prezzo da pagare per spostare soldi e potere. Il punto è che le persone normali sono quelle che pagano questo prezzo. Penso però che la fame di conoscenza sia qualcosa che deve partire da dentro. Qualcuno può anche invitarti ad una cena straordinaria, ma prima tu devi sentire la fame, il desiderio di mangiare. E’ per questo che la fame è nata; perché è dentro noi. E per questo in occidente ora esiste un problema: perché nulla è più in grado di colpire, di stupire. La musica, la TV, le pubblicità… è tutto uguale a sé stesso, tutto già visto. Ma la fame tornerà, da dentro.

MoT: Ok, so che non hai molto tempo. Vorremmo giusto sapere se ci sono già progetti nuovi in campo o in mente.
AV: Uno è sicuramente la prosecuzione del lavoro con il gruppo con cui suono ora, non solo con le cose del passato che stiamo proponendo ora ma anche con nuove idee e con il gusto dell’improvvisazione. Contiamo anche di includere nuovi musicisti, artisti visuali, danzatori… una sorta di evoluzione di Cosmopoly, progetto che ha davvero funzionato ovunque. Ci piacerebbe anche integrare il nostro lavoro di improvvisazione in musica con il controllo live delle luci, forse anche sul palco, per espandere questo desiderio di creare un ambiente ideale per la musica. C’è anche altro. C’è una parte del mondo che ha bisogno disperato di una musica riflessiva, che aiuti ad entrare dentro sé e star bene. Parlo di medio oriente, di Cina ed altro. Stiamo cercando di concretizzare la possibilità di suonare gratis per loro, di poter portare ovunque in questi posti questa musica. Abbiamo verificato che l’impatto di questa musica in posti come questi è impressionante; moltissime persone estremamente emozionate sono venute da noi a dirci le sensazioni che hanno ricevuto.

Andreas Vollenweider, tanto per cominciare, è uno che la new age ha contribuito a crearla. Che poi il termine sia diventato un pentolone pieno di tutto e talvolta di nulla è un’altra storia: resta il fatto che a poter parlare così di guerre, messaggi, purezza degli scopi si finisce per essere modaioli dell’ultima ora –o anche in ritardo sulle mode- oppure si è qualcuno che da decenni porta avanti con coerenza questo discorso. A Vollenweider non può esser di certo mossa l’accusa di appartenere alla prima categoria.

Ci salutiamo calorosamente, e l’inviato di Music on TNT torna per un minuto quel che era e rimarrà al di fuori dell’intervista: un fan di Andreas Vollenweider… e allora la professionalità viene lasciata volutamente andare con una foto-ricordo.

Il concerto che è seguito, la sera, è stata una conferma ben nota a chi lo ha già visto tre volte in precedenza, ma è il caso di raccontarlo un po’ a chi non lo ha ancora visto. Il quartetto che il tour prevede è formato in un modo che molto schiettamente vi riportiamo dal sito di Vollenweider:

Andreas Vollenweider; harps, kora (African harp), gu-cheng (Chinese harp), vocals, ethnic wind instruments
Daniel Kueffer; saxes (ss/ten/bari), bass clarinet, whistles, accordion, vocals, keys
Andi Pupato; percussion, keys, vocals, special effects, samples & loops
Walter Keiser; drums, percussion, special effects

Se per un verso si può parlare di una musica senz’altro rilassante, carica di suggestioni ed evocativa, è d’altra parte altrettanto e forse più vero che sono la bravura e la misura di questi musicisti a fare di questi suoni un ambiente, un luogo sonoro in cui entrare, come è accaduto. Il gruppo suona molto compatto, producendo un risultato omogeneo e denso. Come in altre occasioni non è mancato un filo di umorismo a far lieve l’atmosfera, con il pubblico chiamato a ritmare con i mazzi di chiavi alcuni momenti del concerto, o a cantare in un finale che ha voluto essere di partecipazione collettiva per quella che senz’altro può essre anche una musica fortemente individuale, nel modo di percepirla e di farne altro, dentro ciascuno. Walter Keiser, compagno della prima ora nei lavori di Vollenweider, è tuttora un maestro di precisione e potenza controllata, a cui vengono comunque dati i consueti cinque minuti di spazio personale per fare anche il batterista che “mena”, oltre che il cuore morbidamente pulsante di questi suoni. Pupato e Kueffer sanno dare il loro apporto integrandosi al collaudatissimo duo e costruendo tutti assieme un paesaggio sonoro affascinante e spesso ben più ricco e intenso di quanto la presenza di quattro persone sul palco possa far pensare. Per dirla in breve, quarta esperienza dal vivo e aspetto la quinta in un futuro che spero vicino.