Intervista e recensione del CD “Chi mi darà le ali”

cover CD

Ci incontriamo a S. Lorenzo, quartiere di Roma in cui la sera, ma anche la birra e il porto che berremo assieme per salutarci, ha un buon sapore di vita. Alessandra mi mostra con sorridente orgoglio i suoi gatti che corrono e il pianoforte con cui suonare guardando fuori dalla finestra, su un cortile che però è anche il motivo per cui oltre una certa ora deve passare al piano elettrico a fianco, per non svegliare nessuno. La biografia e tutto ciò che ha carattere di ufficialità è a disposizione su www.alessandracelletti.com , quindi vi racconto qui della chiacchierata piacevolissima avuta insieme, durante la quale non ho registrato o trascritto testualmente le parole di Alessandra; il risultato è stato la possibilità di parlare e discutere senza particolari condizionamenti “hardware e software”, e pazienza se non compariranno parola per parola tutte le frasi scambiate. Il contenuto è però fedele.

Music on TNT – Un disco di piano in solitudine, ma prima ci sono stati l’elettronica, il quasi-pop, gli Agricantus…

Alessandra Celletti – Mi piace provare varie esperienze musicali, sì. Quella con gli Agricantus è stata una parentesi molto particolare, fatta di viaggi in furgone, concerti tra Italia ed estero con un pubblico sempre diverso ma coinvolgente… una collaborazione, ma mi piace molto provare cose nuove. E’ anche per questo che è nato Chi mi darà le ali , il nuovo CD.

MoT – L’ho ascoltato più volte, ho sentito alcune influenze che poi in effetti il tuo curriculum musicale in effetti conferma.

AC – Beh, sì, le influenze ci sono senz’altro. C’è Philip Glass, ci sono gli inni sacri di Gurdjeff… c’è molto della mia storia e dei miei riferimenti, ma non si tratta di omaggi, tributi o riferimenti diretti e cercati; credo semplicemente che quel che si suona e si compone sia anche inevitabilmente frutto di quel che si è ascoltato e suonato fino a quel momento per tanto tempo, e sicuramente per me Glass è un riferimento importante, tant’è che ho anche registrato un disco di sue composizioni; lo stesso Gurdjeff coi suoi inni ha influenzato di sicuro un disco come questo che ha oltretutto un’impronta anche sacra nel suo basarsi su un salmo.

MoT – Ecco, parliamo un momento del nuovo disco. Come sono nate queste composizioni? Come mai un tema… così, come questo?

AC – Ero al pianoforte, stavo “cercando” qualcosa di nuovo, componendo e suonando… mi sono imbattuta in questo libro, quasi casualmente ( mi mostra un tascabile e la prima pagina interna ), quasi a voler cercare un’ispirazione immediata, d’impatto, ed ho trovato questa frase estratta dal Salmo 55. L’ho preso, ho cominciato a leggerlo, l’ho trovato molto bello e mi è venuta in mente la possibilità che ciascuno di quei versi potesse ispirarmi una composizione, o un’improvvisazione. Ho tenuto davanti a me il salmo, suonando, e ho lasciato che i brani venissero fuori, suonando. Alcuni hanno preso una forma consolidata di composizioni, altri li ho inizialmente accennati, tenendo con me l’idea iniziale, la linea su cui proseguire, ed ho di fatto utilizzato quella linea in studio, registrando quelle che di fatto erano composizioni ma anche improvvisazioni del momento.

MoT – La scelta di “esporti” fino al nudo nel booklet e in copertina come la motivi, come la senti?

AC – E’ in un certo senso in armonia con lo stile e i contenuti del disco. Volevo dare una connotazione di essenzialità al lavoro anche nella copertina, nei colori… arrivare con un’immagine priva il più possibile di sovrastrutture, meno visibile… e se ci pensi il nudo, che può effettivamente sembrare un esporsi, è anche “togliere”, svestire, privarsi di visibilità, ridare l’essenzialità maggiore possibile all’immagine.

MoT – E ti sei anche prodotta tutto da sola…

AC – Avevo voglia di fare qualcosa senza nessun tipo di condizionamento. Col mio produttore mi trovo molto bene, ma è chiaro che il lavoro di produzione non può che influenzare almeno in qualche modo la natura e la direzione di un lavoro, per i suoni, l’impostazione o altro. In questo caso ho preferito fare tutto così come lo sentivo. Ho suonato i pezzi, li ho portati in studio e in pochi giorni ho finito le registrazioni.

MoT – Ok, quindi riconosci che si tratta di un lavoro piuttosto particolare, che banalmente si dice “di nicchia”. Che tipo di pubblico ti aspetti? Come ti aspetti che ascoltino il tuo disco?

AC – Guarda, mi rendo conto che un disco di solo pianoforte ispirato a un salmo difficilmente potrà vendere come Michael Jackson, ma comunque mi piacerebbe che questa musica piacesse in modo “universale”, a un pubblico più variegato possibile. Mi piace immaginare per questo disco e per chi voglia ascoltarlo un approccio che fosse magari anche riflessivo ma non mentale, senza occupare troppo la testa, diciamo meditativo; vorrei che la mia fosse una musica per rilassarsi… anche pensando.

MoT – E dal vivo? Come cambia questa musica? E come cambia Alessandra Celletti?

AC – Suonare dal vivo per me è importante, bello, coinvolgente. Il rapporto e l’interazione col pubblico sono fondamentali, determinano per ogni concerto una storia a sé, una serata ed una performance diverse. La mia musica ne risente sicuramente, il mio modo di suonare, di interpretare i pezzi, di fare improvvisazione in alcuni punti dei brani cambia a seconda del tipo di segnali che ricevo dal pubblico, degli stimoli che mi manda partecipando, stando in silenzio, reagendo con calore o con freddezza… Anche in questo senso credo che la mia musica possa essere ascoltata a più livelli e da tipi di pubblico diversi. A Bologna per esempio mi è capitato un pubblico piuttosto variegato, tant’è che ho visto entrare in sala perfino ragazzi che perlomeno nel look erano in un ambito, diciamo così, “metallaro”… Ho avuto un po’ di timore inizialmente perché questo disco senz’altro è un po’ lontano dal genere che molto probabilmente loro preferivano, eppure ho iniziato a suonare e ho capito che stava piacendo anche a loro… questo ha sicuramente influenzato il mio modo di interpretare il concerto, magari aggiungendo un po’ di carica ritmica o di dinamica in più.

MoT – Insomma, in questo disco sei autrice, interprete, produttrice… dal vivo ti lasci lo spazio per improvvisare anziché restare sulla composizione… Si direbbe che questa fase forse sta accentuando la tua individualità di musicista, la tua personalità artistica.

AC – In realtà non c’è una rottura col mio percorso. E’ una continuità che ora ha portato per me l’evoluzione di aver composto qualcosa che va un po’ fuori anche dalle mie consuetudini. Per me è stato molto divertente anche tentare l’esperienza del pop, delle canzoni vere e proprie, così come è stato interessante usare l’elettronica, e magari tornerò a farlo. Il disco Overground , per esempio… l’hai sentito?

MoT – No…

AC – Eccolo, prendilo… non so se ti piacerà ( mi è piaciuto! Ndr ), perché è decisamente tutt’altro rispetto a Chi mi darà le ali , ha una natura piuttosto sperimentale, l’ho realizzato con cose all’”epoca” valide, tipo l’AKAI S1000…

MoT – Che ora magari trovi a 99 $ sul PC come soft synth…

AC – Già… E un disco di pochi anni fa magari suona piuttosto “antiquato” nei timbri… ma è stato molto bello usare quei suoni, ho voglia di tornare a lavorare con l’elettronica, anche assieme al pianoforte.

MoT – C’è già un progetto pronto?

AC – Ci sto lavorando, sono alla preparazione dei pezzi, tra un po’ porterò in studio il materiale. Ci sarà molto pianoforte con qualche suono trattato, qualche sample… ancora ci sto lavorando sopra. Per ora ho comunque da fare anche nel preparare una cosa per quest’estate, e poi sto curando anche la promozione e… le vendite, per il disco attuale!

MoT – Fai tutto in casa, insomma!

AC – Anni fa a Roma potevi curarti un po’ di distribuzione da sola, in negozi specializzati che avevano spazio per lavorare bene. Ora il mercato va molto diversamente, ma vendo direttamente tramite internet il CD, le persone scrivono a me e lo spedisco… un po’ faticoso da gestire, ma c’è la bellezza di poter avere un contatto diretto con ciascuno dei miei ascoltatori… è uno scambio interessante.

MoT – Concedimi un finale un po’ banale ma divertente: lasciati andare a un sogno e dimmi quale duetto immagineresti per te, con chi ti piacerebbe tanto realizzarlo…

AC – Beh, sarebbe bellissimo realizzare un bel disco di cose nuove, magari scritte a quattro mani, col mio mito Nick Cave… è molto poetico, ha scritto cose bellissime, ha una voce che… sì, sarebbe bellissimo, immagino i due pianoforti uno di fronte all’altro, e via a suonare… E poi… ma sì, tanto sto sognando, perché no? Suonare assieme a Benedetti Michelangeli.. il suo tocco, la sua ricerca della perfezione e della purezza, nel timbro, nel tocco, nei volumi… per me sono assolutamente un riferimento.

Ci salutiamo nella notte ancora rumorosa del quartiere. La sensazione è quella di aver incontrato una musicista che crede nel lavoro che fa e cerca di non fermarsi sulle strade conosciute. Sarà piacevole, per chi vorrà, scambiare qualche parola con lei acquistando il CD con un’e-mail (ad una stava rispondendo al mio arrivo).

Il disco: CHI MI DARA’ LE ALI

Ecco un disco che non si sa dove cercare in negozio: che scaffale può ospitarlo?

Quale genere musicale?

Nel dubbio, sempre più convinti come siamo da queste parti che la msuica vada divisa al più tra bella e brutta, senza altre distinzioni, direi che l’importante è ascoltare.

Alesandra Celletti interpreta a modo suo i versi del Salmo 55, dando forma in episodi musicali più o meno grandi ai versi che lo compongono. Lo fa in solitudine al pianoforte, affidando in un brano alla voce di un bambino l’unico intervento vocale del disco.

L’atmosfera dell’intero CD, stilisticamente omogeneo e “solido”, compatto e compiuto, viaggia tra l’evocatività di certa new age pianistica (George Winston o Szakcsi, per far due nomi orientativi) e il ‘900 colto europeo ed americano, con influenze che rimandano alle strutturazioni di Philip Glass come pure ai meditativi inni sacri di Gurdjeff De Hartman.

Il pianismo di Alessandra Celletti sa essere rilassato ma non si tira indietro quando l’autrice vuol comunicare energia e imprimere maggior impatto dinamico e timbrico al colore dei brani. Ne esce un soundscape interpretativo suggestivo, tra l’altro più genuino e viscerale di molti prodotti patinati che il genere purtroppo offre. Una certa insistenza nel proporre determinati giri armonici può essere avvertita da chi ascolta sia come un pizzico di ripetitività di troppo sia come un discorso musicale che vuol farsi coerente, come peraltro è nelle intenzioni dell’autrice. Forse un altro piccolo appunto può riguardare la scelta di un’incisione che drammatizza in modo piuttosto palpabile le sonorità del piano, ma anche qui è difficile oggettivare la gradevolezza di un suono che ad alcuni può piacere più puro e ad altri maggiormente d’atmosfera.

Nel complesso comunque si tratta di un lavoro interessante, che ha l’ulteriore punto a favore di costare solo 10 euro e di essere acquistabile contattando direttamente l’autrice; credo che questo punto sia importante perché aiuta a trovare e sviluppare direzioni e possibilità nuove in un mercato che, invece, sta andando verso una massificazione dei prodotti che di fatto finisce molto spesso per massificare, e quindi in fondo annullare, uguagliandole, anche le emozioni.