Storia di una … (The) Band – Parte terza

Ronnie Hawkins & The Hawks 1963

Capitolo III: Rick, Richard, Garth e una telefonata

Ronnie Hawkins & the Hawks sono un successo perché il leader ha il fisico e l’aspetto giusto per piacere al pubblico, The Hawk è un animale da palcoscenico, il suo passo del cammello – sembri fermo e invece ti muovi – scatena il pubblico, Ronnie sa interagire con la folla e sa dominarla: è uno showman. Gli spettacoli iniziano con gli Hawks da soli sul palco a suonare, eccoli che poi serrano sempre più il ritmo finché Ronnie entra in scena a passo di cammello, la musica è senza sbavature, suonano a mille all’ora ma precisi come un orologio. Sono la migliore band in circolazione ma la competizione comincia a diventare seria anche in Canada, così Hawkins è sempre alla ricerca di talenti da inserire nel gruppo, il talento conta ma la bellezza non conta meno: The Hawk sa che i ragazzi riempiono i locali pieni di ragazze e che le ragazze … vanno a vedere la band dove suona bella gente. Ma la musica conta tanto, è per questo che Hawkins cerca di assoldare Garth Hudson, che proprio una bellezza non è ma è unanimemente considerato il miglior musicista del circuito, Garth rifiuterà.

Garth Hudson: “Ronnie insisteva, così gli dissi che sarei andato a vedere la sua band. Scoprii che il pianista aveva una tecnica da bombardiere con la sinistra. Non avevo mai sentito prima d’allora un piano suonato con tanta veemenza. L’uomo era grande e grosso e aveva un’energia tremenda con la quale suonava quei selvaggi glissati alla Jerry Lee Lewis. L’altro tastierista in quanto a potenza gli era secondo di poco. Pensai: io non posso suonare questa musica. Non ho una mano sinistra come questi qua.”

Intanto Hawkins ha trovato un nuovo bassista, Rick Danko. Rick pur essendo canadese condivide le semplici origini rurali di Levon, ma a causa di problemi allergici i campi li ha visti poco, così tanta radio e tanta musica. Anche Rick ha iniziato a esibirsi giovanissimo, a quindici anni ha lasciato la scuola perché vuole vivere suonando.

Rick Danko: “Eravamo alla fine del 1960 quando vidi per la prima volta Ronnie suonare, allora gli Hawks erano Levon, Rebel, Stan, e Willard. Robbie era ancora un apprendista chitarrista. Vestivano tutti questi abiti neri fatti su misura, e la musica era più che potente. Era incredibile. Il pianista suonava come un diavolo mentre The Hawk ballava sul piano. Tutti erano madidi di sudore. Erano irresistibili. Levon sghignazzava nel microfono facendo ridere tutto il pubblico, avevano l’indole degli intrattenitori. Me era soprattutto Ronnie a mandare in delirio il locale. Mai visto niente del genere. Il suo passo del cammello era simile alle mosse di James Brown, ma più veloce!”

Ronnie Hawkins & The Hawks sono una band che consuma il pubblico, quando lasciano il palco non ce n’è più per nessuno, ma una sera dopo di loro vanno in scena i Revols e quando il loro pianista attacca “Georgia on my mind” fa esplodere il locale: è un bello e ha una voce incredibile, si chiama Richard Manuel (classe 1944), dirà di lui Eric Clapton: “rock e blues sono musica nera, ho conosciuto solo due bianchi capaci di fare questa musica con la naturalezza di un nero, sono Van Morrison e Richard Manuel.”

Hawkins capisce che i Revols sono rivali pericolosi, perciò decide di assumerli. Li manderà nel Delta a suonare nei suoi locali, ma quando Stan Stelestz deciderà di tornare in Arkansas, sarà Richard Manuel a prendere il suo posto al piano. Levon Helm: “il piano per gli Hawks era parte della sezione ritmica, gli assolo – quando c’erano – toccavano ai fiati e alla chitarra, in seguito all’organo. Il piano evitava che il ritmo calasse. Richard era perfetto per quel lavoro. Allo stesso tempo il suo arrivo alleggerì il lavoro vocale di Ronnie, Richard poteva in tutta naturalezza fare un rock o una ballata confidenziale. Io fino allora avevo cantato solo per dare respiro a Ronnie. Avere la voce di Richard innalzò il livello della band.”

Nel 1961 Ronnie Hawkins & the Hawks riprendono a girare il Sud.

Levon Helm: “essere un musicista in quella regione del paese è come essere un pistolero. I più giovani vogliono la tua reputazione, quando eravamo nuovi in città lasciavamo l’ultima sessione aperta al pubblico, nel Delta tutti conoscono la musica e i chitarristi locali salivano sul palco sorridenti, attaccavano lo strumento all’amplificatore e cercavano di bruciarti, sarebbero stati felici di farti fare una figura da bischero. Ma noi riuscivamo ad ottenere rispetto, certo avevamo una pessima reputazione di puttanieri, donnaioli e ladri di benzina, ma conoscevamo le band nostre concorrenti e sapevamo che suonavano i nostri arrangiamenti, musica che avevamo ideato noi. E’ così che capimmo quanto eravamo bravi.”

Garth Hudson (classe 1937) restava il sogno proibito di Ronnie Hawkins. Garth Hudson è diverso dagli altri: nato in una famiglia di musicisti, ha un padre multistrumentista e una madre fisarmonicista, e ha pure studiato pianoforte al conservatorio di Toronto. Ciò non toglie che come i suoi futuri compagni di strada sia cresciuto ascoltando alla radio Alan Freed, il più famoso DJ dell’epoca.

Garth Hudson: “Volevo suonare l’organo ma non potevo permettermi quello che preferivo. Diverse band di Detroit usavano l’organo, ma solo una il Lowrey, e aveva un gran suono. Andai a provarne uno in un negozio e capii che il Lowrey poteva fare delle cose cui l’Hammond non arrivava. Ronnie insisteva perché mi unissi agli Hawks, io vedevo che facevano bei soldi perché suonavano sette sere a settimana tutte le settimane. Dissi ai miei genitori dell’offerta di Ronnie, ma a loro non andava bene che dopo aver studiato tanto andassi a fare musica in bar e bordelli.”

Siamo nel dicembre del 1961 e questo è uno dei momenti leggendari della storia del rock, dopo Helm, Robertson, Danko e Manuel, Garth Hudson sarà il quinto componente della versione storica degli Hawks: leggendario perché per convincere papà e mamma Hudson, Ronnie comprerà un organo Lowrey per Garth che riceverà un compenso extra come insegnante di musica della band.

Ronnie Hawkins si trovò quindi alla fine del 1961 ad aver allestito una rock band coi fiocchi, ma mentre le serate andavano a mille pian piano andò incrinandosi il rapporto tra Hawkins e il gruppo: Ronnie aveva raggiunto l’apice, sapeva di non poter puntare più in alto e cercava di amministrare con la sua innata sagacia di businessman ciò che aveva guadagnato; viceversa gli Hawks avevano ormai la consapevolezza di essere la miglior band in circolazione e ambivano a qualcosa di più; la band aveva imparato anche a stare da sola sul palco perché Ronnie aveva preso l’abitudine di arrivare in ritardo o non presentarsi proprio alle serate. Fu così che alla fine del 1963 gli Hawks diedero i quindici giorni al loro fondatore.

La band, che adesso si fa chiamare Levon & the Hawks, continua a muoversi in quel di Toronto che in quella stagione è un grande palcoscenico musicale: da Ray Charles a Cannonball Adderly, da Carl Perkins a Charles Mingus tutti passano da Toronto; il movimento folk è vivo e sono già in giro i giovanissimi Neil Young, Gordon Lightfoot e Joni Mitchell. Ma essere una grande rock band non basta, per essere grandi davvero bisogna trovare un proprio repertorio, così il gruppo si mette in strada verso gli Stati Uniti, dove sono in corso novità importanti, tutta la band resta affascinata dal nascente fenomeno degli artisti Motown, intanto di passaggio a Chicago a impressionare tutti è il gruppo dell’armonicista Paul Butterfield che suona con Howlin’ Wolf. Ovviamente a Levon & The Hawks non mancano gli ingaggi nei club più prestigiosi, come il Peppermint Lounge di New York; arriva anche l’incisione di un singolo, pubblicato con il nome di Canadian Squires, sarà poi Ronnie Hawkins a sconsigliare questo nome perché: “le case discografiche americane non sanno che farsene di un gruppo canadese. Credetemi sulla parola. Sanno che il mercato canadese è troppo piccolo, ci perderebbero soldi.”

Preparano anche dei demo registrando un paio di canzoni scritte da Robbie Robertson e ci sarebbe anche l’opportunità di firmare un contratto discografico, ma un avvocato amico di Levon li dissuade perché è un contratto capestro, i discografici non sono che sanguisughe; quando la band tenta di rilanciare chiedendo un accordo più equo i cinque ragazzi vengono cacciati in malo modo.

Così fanno tappa in Arkansas dove incontrano il vecchio e ormai leggendario Sonny Boy Williamson, Levon e gli altri lo adorano, Sonny Boy suonando con loro è impressionato, li ritiene una delle migliori band che abbia mai sentito, così per qualche tempo si pensa ad un progetto comune con il vecchio bluesman, ma pochi mesi dopo, nel maggio del 1965, Sonny Boy Williamson scompare.

Così tornano Levon & the Hawks, ancora un singolo con due pezzi scritti da Robertson che però passano inosservati, a dire la verità il gruppo nel 1965 grazie a Levon finirà in prima pagina su tutti i giornali canadesi ma … non saranno le sue virtù di batterista a richiamare tanta attenzione sulla band: Levon guida come un matto sulle strade che da Buffalo negli Stati Uniti passato il confine in terra canadese portano all’aeroporto di Toronto, 8 vetture dei Mounties li inseguono senza riuscire a prenderli finché non si fermano allo scalo aereo: “arrestato gruppo rock di Toronto” titolarono i giornali e occorsero 60mila dollari di cauzione per uscire di prigione, ma la settimana dopo il club dove suonavano era pieno come non mai.

Siamo così nell’agosto del 1965 e Levon & the Hawks sono in New Jersey per suonare ad un festival estivo, un giorno Levon – o forse Robbie, ogni mito che si rispetti ha più versioni – si vede passare un telefono e sente all’altro capo una voce che si presenta dicendo:
“This is Bob Dylan calling”.