“Spirit of ‘69” George Marshall, recensione

“Nella lista nazionale degli orrori, gli skin sono rappresentati come una via di mezzo tra i serial killer e i cani neri”

Originariamente pubblicato in Inghilterra nel lontano 1991 (e poi ristampato nel 1994) Spirit of ‘69 ha da sempre rappresentato una sorta di bibbia ufficiale del mondo skin. Un saggio da sempre accolto con rispetto dalla subcultura di riferimento, esattamente come accadde nel mondo punk con l’opera di Jon Savage.

Scritto e narrato con cognizione di causa da George Marshall, il libro viene riproposto da Hellnation libri, marchio editoriale di Red Star Press, grazie alla traduzione di Flavio Frezza, pronto a portare a noi le parole di uno skinhead intento nel restituire un resoconto veritiero relativo alla storia skin. Un rapporto privo di distorsioni mass- mediatiche disegnate da giornalisti troppo propensi alla deformazione di eventi, dinamiche e motivazioni.

Le circa 250 pagine del saggio ci invitano, infatti, a vivere e a riflettere su di un movimento vivo ancora oggi, spinto da un proprio atteggiamento estetico, un proprio stile musicale, ben definite ideologie ed ragionevoli interessi. Seguendo le dinamiche dalla genesi all’evoluzione, Marshall finisce con il percorrere diversi sentieri che dalla working class hanno portato gli skin attraverso stili musicali differenti (reggae, 2 tone, Oi!, Skunk… ), pronti a fondersi e confondersi a hooliganismo e politica, maturando così le dinamiche che hanno portato parte del movimento verso i cosiddetti bonehead.

Il viaggio narrativo dell’autore scozzese ci porta così a vivere i grandi festival, le risse, l’esagerazione vestita dal Last resort, l’ascesa e la crisi del genere musicale di riferimento, oltrechè i rapporti con il tifo calcistico e le associazioni politiche, poste sotto l’egida del Union Jack.

 

L’opera, di certo imperdibile per chi Skin è, è stato e sarà, appare anche come un’ipotetica fonte di riflessione per sociologi e giornalistici appiattiti, offrendo un complesso dedalo socio-musicale in cui l’atteggiamento, gli ideali e il comportamentismo si fondono alle note della Trojan, del soul, del punk, dello skunk e dell’OI! mediante la voce di storici protagonisti come 4 Skins, Screwdriver, Business e Cockney Rejects, ai quali peraltro si deve presumibilmente il nome di un genere musicale da sempre piacevolmente underground.

A compendio del saggio (a mio avviso pressoché impeccabile) i lettori troveranno alcuni box di approfondimento, oltre ad un curioso ed essenziale glossario skin in cui orientarsi tra le più interessanti label sui generis e tra le voci relative allo stile estetico di un mondo che ha vissuto realtà divergenti…pertanto sarebbe d’uopo leggere, capire e comprendere e solo dopo scriverne e parlarne.