Calamari for lunch “Calamari for lunch”, recensione

In teoria dovrei scrivere che arrivano da Piombino anno 2018, ma in realtà sarebbe più corretto dire che arrivano dei primi anni ’70, immersi in strutture prog rock da cui nascono venature Surf  (In The lounge) armonizzate su rette lisergiche, peraltro ben metaforizzate dalla cover art, che sembra parlare del disco senza utilizzare la parola. Infatti, proprio la copertina gioca con gli astanti in modalità wordless senza inganni e sotterfugi. Certo, in questo convincente debutto avrete modo di percepire striature diversificate, che ritrovano nelle distorsioni stoner anni ‘90 un’ulteriore porto stilistico.

 

 

L’album promosso da (R)esisto appare incentrato sulle tematiche della rinascita, mostrando un’incredibile serie di ispirazioni e rimandi che, dagli Inxs  (Another day on earth) zoomano verso strutture vintage.

Il caleidoscopio di suoni, infatti, riesce a farci viaggiare ad occhi chiusi (Arabian sand) portandoci sino ai mondi distorti di Mesmerize, una tra le tracce forse meno rappresentative, ma di assoluto livello, che con i suoi cambi direzionali, i suoi filtri e le sue distorsioni, include un raggiunto viatico tra tecniche miste, qui in grado di dipingere una composizione riuscita.

Se poi con Alien brain soap il sapore resofonico è tagliato da stoppate in levare, con Loser la band vira verso un minimalismo retrò, sostenuto dalla notevole vocalità di Antonio Lepore, i cui colori timbrici donano carburante alle composizione.

Difficile pertanto estrarre da questo disco un’apice, ma se proprio fosse costretto a farlo mi ritroverai a parlare ( e a riascoltare all’infinito) Chocolate, reale compendio stilistico del quintetto. Una composizione osservativa, per certi versi claustrofobica, in cui l’impronte iniziale, piacevolmente viziata da una sensazione “Barrettiana”, si apre ad una presa easy che porta con sé riverberi e pelli minimal, in grado di riuscire a coniugare colori gotici con uno schematico imprinting discorsivo, che chiude il cerchio ritornando alle sensazioni Surf dell’incipit.

Insomma un disco da ascoltare, riascoltare e avere, con buona pace di che ormai vive solo di Spotify YouTube et similia.