Giulio Spagnolo: tra pirati, uomini e mondi altri da girare

Non sempre si lascia amare questo modo di pensare al suono, piratesco, circense, fatto di amuleti e vascelli, casse di legno e bottini preziosi. Ho come l’impressione che il cliché estetico di questo modo sia talmente forte da omologare o coprire un poco tutto il resto… come a dire che, fatti in questo modo, i pezzi sembrano sempre un po’ tutti uguali. E per lunga parte dell’ascolto di questo disco mi torna puntuale questa sensazione…

“Beato chi” è l’esordio discografico del cantautore leccese Giulio Spagnolo che ovviamente veste a pieno tutto, dagli abiti alle location per le fotografie, dal video della title track a quel certo modo aristocratico di fare. Disco che però in molti passaggi riesce a mettere fuori la testa e a farsi notare anche con un gusto accesso come proprio nella title track dell’opera, forse momento davvero “alto” anche grazie proprio alla clip che porta in scena il grande filo conduttore di tutto: a me piace nominarla povertà umana, piccola esistenza di tutti noi che si barcamena come può dietro il luccichio di ricchezze effimere. Emancipazione, verità, esistenza che sa benissimo far di conto con la dimensione reale dell’uomo e qui cadono a fagiolo brani emblematici come “Dio e l’uomo” – bellissima fotografia allegorica di un uomo e il suo Dio a confronto su errori e critiche dei risultati in merito alla creazione. Per il resto il sempre presente comparto di fiati, un rolling di batteria che mantiene un tiro sempre puntuale e preciso lasciando che tutta la scrittura possa respirare solo in sparuti momenti come la già citata “Dio e l’uomo” ma anche l’emancipazione sotto la guida di un personaggio femminile come “Shaila” (nelle strofe e nelle chiuse)… 

In conclusione, per il nostro ascolto, “Beato chi” sembra rispettare i miei pregiudizi iniziale e un poco dunque confonde il tutto in un’amalgama di suono e di modo sempre uguale… forma che, però, trova un marchio di maggiore caratterizzazione proprio nella primissima “Giro del mondo” o nella title track dentro cui un modo “spoken words” (con tutte le massime e dovute virgolette del caso) trova pace in metriche e soluzioni efficaci. In fondo è un esordio e non dobbiamo dimenticarlo. Quanto meno, moltissimi punti a suo favore e tantissimi errori evitati dimostrano che c’è una maturazione in atto pronta ad esplodere. Aspettiamo l’evoluzione…