OTTODIX: la sottile connessione umana

Un disco emblematico sotto tanti punti di vista quello che ci regala l’artista visionario Alessandro Zannier, in arte OTTODIX. Si intitola “Entanglements” che rievoca quel concetto fisico che in breve possiamo parafrasare – in luogo di questo disco – come una correlazione spirituale tra gli uomini di questa terra… che non è differente poi con quella che esiste tra loro e il mondo che accade intorno. OTTODIX realizza in suono e parole un viaggio visionario tra i continenti e dentro la vita degli individui attraverso la forma canzone futurista e digitale a cui ci ha sempre abituato. La puntuale produzione di Flavio Ferri questa volta ha restituito anche un bellissimo scenario orchestrale e la scelta di interporre al viaggio ponti di collegamento puramente strumentali (sono 5 le composizioni strumentali in questo disco) rende il tutto davvero molto affascinante e ricco di un potere visionario che mai manca dentro le opere di OTTODIX. Di sicuro l’invito all’ascolto si collega anche ad una richiesta di attenzione anche e soprattutto verso le liriche oltre che all’estetica del tutto. Di quei dischi italiani che viaggiano in direzioni altre rispetto alla massa delle soluzioni di mercato. “Entanglemets” è anche un evento post Covid19 che possiamo seguire sul portale RIAVVIAITALIA: “il live di Ottodix diventa evento test per la ripartenza e l’album stesso una sorta di manifesto-bandiera musicale di questa iniziativa culturale. Ne sono davvero lusingato”.

Davvero affascinante la genesi di questo lavoro. Come e perché nasce “Entanglement”?
È un album nato inizialmente sulla scia del precedente”Micromega”, album che ho amato molto e che mi ha dato una svolta importante verso la commistione tra arte, scienza e divulgazione. Del concept album precedente ho mantenuto il concetto di viaggio a puntate per canzoni, utile anche per gli spettacoli live. Ispirandomi proprio al brano “Planisfera” dedicato al pianeta Terra, il sesto dei nove livelli di “Micromega”, mi è venuta l’idea di imbarcare letteralmente via mare l’ascoltatore attraverso un giro del mondo alla Jules Verne, ragionando sull’origine dell’iper connessione globale in cui siamo avviluppati, una connessione culturale, economica, ambientale, satellitare, energetica e digitale sempre più serrata. È uno sguardo sul pianeta e le società che lo abitano, per immedesimarsi in tutti i punti di vista diversi della sfera-mondo. (in una sfera tutti i punti di osservazione, anche quelli opposti, si equivalgono, nessuno può vantare una visione più ampia del mondo abitandoci sopra). Ho pensato ai continenti come tappe-canzoni e ai mari che li collegano (e le zone polari) come brani strumentali ambient di decompressione.

Cosa ti ha spinto a ricercare questa parola, questo preciso fenomeno fisico?
Del precedente album e dell’amore poetico per la fisica ho mantenuto l’idea di base, il concetto di entanglement, un fenomeno fisico sconcertante per il quale due particelle originariamente unite interagiscono istantaneamente anche a milioni di chilometri di distanza, annullando di fatto il concetto di spazio tempo e suggerendo che ogni cosa che accade nell’universo ha ripercussione immediata altrove. Una lettura molto vicina a quella del nostro mondo iperconnesso attuale. Entanglement vuol dire letteralmente “groviglio”, “intreccio”. La causa effetto delle catastrofi è immediata, nessuno si può dichiarare al sicuro. Il mare che separa i continenti abitati, in realtà li unisce, è uno spazio non-vuoto in cui si propagano informazioni, scambi, flussi, come lo spazio quantico tra le particelle, che di fatto è un soggetto esso stesso, non un vuoto. È una sorta di collante che tiene imbrigliata e in comunicazione la materia. Poi avevo voglia di tornare ad aprire gli atlanti di quando ero ragazzo, ho sempre amato la geografia, le terre remote, ma anche le storie dei pirati, delle caravelle, dei brigantini e galeoni. Insomma, se prima era un album a base di filosofia, astronomia e fisica, stavolta mi sono addentrato nella geostoria del mondo, ma partendo sempre da un concetto filosofico di fisica.

Bellissimi e assolutamente efficaci i brani strumentali che lasciano planare tra continenti e popoli diversi. Da cosa derivano? Sono improvvisazioni o scritture precise?
Ti ringrazio, li volevo così, me li ero figurati con quelle sonorità, ma non avrei avuto la capacità da solo di creare quel suono. Flavio Ferri, coproduttore dell’album, li ha incredibilmente realizzati come li immaginavo. Sono stati registrati come una jam session lunghissima improvvisata tra me, Flavio e Loris Sovernigo, a Barcellona nel suo studio. Flavio ha poi scremato, equalizzato, filtrato e mixato un brodo quantico-sonoro finale molto lungo del quale io ho scelto alcuni pezzi e li ho caratterizzati con elementi ambientali (“Sub pacifica”) a base di orche, delfini e balene, o con l’ausilio di una lettrice molto brava che ha sussurrato una lista di affascinanti isole remote del mondo (“Sub atlantica). I brani dedicati all’Artide e all’Antartide invece riprendono uno stesso tema per piano e orchestra e sono una sorta di requiem per queste regioni in preda a un surriscaldamento drammatico e sotto gli occhi di tutti.

Ecco, parlando di ispirazione: il tuo mondo è sempre estremamente curato nelle produzioni. Ma quanto viene lasciato al caso e all’ispirazione di un momento?
La parte dell’improvvisazione, dello slancio e della semi casualità creativa che scorre libera è quella intermedia. Mi spiego: preparo concettualmente i miei album pensando molto al tema principale, poi studio proprio la materia, mi riempio la testa di contenuti che viaggiano caotici, liberi, prendo appunti di qualche accordo o tema musicale, creo insomma una situazione “liquida” mentale, che parla tutta uno stesso linguaggio, piena di input sparsi. E questa è la prima fase. La seconda, quella creativa, parte suddividendo l’album in temi e titoli ipotetici, tutti collegati allo stesso concept, poi finalmente mi tuffo buttando le mani al piano o ai synth, cantando temi a caso, cercando melodie e cose che mi coinvolgano in modo fresco, emotivo e di slancio. Nella terza fase riconduco tutto alla ragione e incastro parole e arrangiamenti tornando a pensare ai temi e alla teoria che avevo messo da parte in modo implacabile e preciso nella prima fase. Questa è la fase più faticosa, quella che chiude il lavoro dando senso a ogni singola canzone-tema. Se hai la testa infarcita di nozioni accuratamente preparate, hai più facilità, più vocabolario ricco inerente a quell’argomento, ti viene più naturale parlare “quella lingua” in modo omogeneo e compatto. L’intero album insomma, alla fine risulta molto coeso perché certe riflessioni generali fatte nella prima fase te le ritrovi che ritornano in modo naturale in varie canzoni, le hai metabolizzate. Questo da il senso di ascoltare non una canzone, ma la parte di un’opera più complessa, una scena di un film.

Dicci la verità: esiste una tua istallazione che rappresenta questo disco?
Ne ho già esposte in autunno 2019 in Brasile, alla Biennale di Curitiba e al museo archeologico di Vicenza, come anticipazione di “Entanglement”. Doveva arrivare nel 2020 un’importante installazione alla Biennale di Architettura a Venezia, spostata al 2021 causa Covid19 e ne ho altre in cantiere per Genova e Hong Kong tra qui e inizio anno prossimo. Insomma, Entanglement ha appena incominciato il suo lungo percorso, nonostante 13 concerti cancellati.
A proposito: seguite la “Entanglement Live Home Serie” di Ottodix, 8 video live suonati a distanza durante il lockdown da band e quartetto d’archi, montati con visuals suggestivi e rilasciati in varie testate culturali e musicali. Potrete vedere come le avremmo suonate e come le suoneremo, le canzoni di questo album. L’album ha anche dato il titolo a un’operazione di ripartenza culturale degli eventi live post Covid, che potrete seguire sulla piattaforma riavviaitalia.it: il live di Ottodix diventa evento test per la ripartenza e l’album stesso una sorta di manifesto-bandiera musicale di questa iniziativa culturale. Ne sono davvero lusingato.