Metal o niente. Storia leggendaria dell’Heavy Metal.

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“Ogni religione ha un suo mito della creazione e la religione dell’Heavy Metal ha i Black sabbath.”

Prima di iniziare a scrivere questa recensione mi sono ritrovato davanti alla sezione musicale della mia piccola biblioteca. Ho contato quanti libri sul tema heavy metal mi è capitato di leggere negli ultimi 30anni:141 volumi.

Qualcuno là fuori potrebbe chiedersi: e quindi?

Quindi, dopo 141 volumi sui generis, posso dire di non aver mai letto nulla di simile.

, infatti rappresenta una giocosa e a tratti comica narrazione dell’heavy metal, in cui ritroverete (esattamente) i pensieri unpolitical correct che ogni hmk ha da sempre asserito. Considerazioni divertenti, popolari, veritiere, dissacranti, maleducate, ardite e guidate da una conoscenza approfondita della materia, in grado di raccontare ai novellini l’imperituro mondo metal.

Per capire l’impostazione narrativa del volume vi basterà soffermarvi a sorridere su di uno straordinario incipit: “Al mondo ci sono due categorie di persone: quella a cui piace l’heavy metal e i cretini.”

Scritto da Andrew O’Neill, brillante scrittore, musicista e commedian, il libro, pubblicato in Italia da Sperling & Kupfer, racconta il Metal partendo dall’assunto che esso non è solo un genere musicale ma una ben consolidata e duratura subcoltura, nata da diversificati “fuochi sacri” in grado di alimentare un genere dai molteplici figli derivativi, diversi, ma imparentati tra loro. L’autore, infatti, si ritrova a narrare la genesi di un mito, spinta dall’essenzialità divertente e divertita del tracciare i confini di un natura musicale rivoluzionaria, mostrando cosa in realtà non è HM, in modo da delineare al meglio le forntiere non sempre delineate con giustezza: i Kiss non sono Heavy Metal, gli Aerosmith non sono Heavy Metal, gli AC/DC non Heavy Metal, i Led Zeppelin non sono Heavy Metal.

L’opera del giovane autore di Portsmouth ha inizio con il magnifico capitolo introduttivo Roots Bloody Roots, in cui ritroviamo un attento sguardo posato sull’uomo primitivo ed il suo ancestrale istinto rumorista, dimostrando ciò che personalmente nel mio piccolo sostengo da anni per spiegare le motivazioni che mi spingono ad ascoltare la brutalità musicale di “gentaglia” come Disfugurment e Anal Cunt: “alla musica estrema bisogna fare l’orecchio. Di primo acchito può suonare spiacevole, ma chi la capisce e impara a riconoscere le sue complesse variazioni, l’estremismo offre un piacere più viscerale di quanto la musica normale ne offra alle persone normali” Oh! Lo dice la scienza.

Trattasi pertanto di una musica che da dipendenza, che spinge ad accettare una ricerca continuativa di “dosi ulteriori” per contrastare l’assuefazione, spingendo così molti (di noi) a ricercare nuove e più intense sensazioni. Così, partendo dalla genesi sabatthiana di quel lontano venerdì 13 1970, l’autore ci accompagna in un lungo viaggio in grado di raccontare non solo un quadro storico sociale in cui si evolvono le vicende narrate, ma anche tracciare un itinerario complesso in cui trovano posto le principali derivazioni stilistiche, qui descritte da chi le ha osservate, amate e categorizzate. Un viaggio godibile ed originale che, dagli albori del proto Metal ci conduce alla doppio ondata nera, ai fastidiosi influssi glam, alla disquisizione sulle derive thrash-death, sino a giungere al perfetto capitolo intitolato Alla fine degli anni 90 tutte le band che mi piacevano hanno cominciato a fare schifo, apice di un racconto lieve in cui perdersi totalmente.

(Attenzione spoiler) A chiudere il volume di un libro perfetto è infine il surrealismo di un epilogo degno di Nostradamus, in cui lo sguardo su di un probabile futuro ci annuncia come nel 2047 i Black Sabbath saranno clonati per un nuovo tour.

Insomma un libro che racconta in maniera deliziosamente “vulgaris” un’epopea straordinaria, utilizzando ironia, sarcasmo e arte dissacratoria.