Tori Amos – Little Earthquakes (1992)

Tori Amos pubblicò nel 1992 il suo intimo, e in parte devastante, Little Earhquakes in un periodo di piena rinascita del rock (dopo la decade degli 80 connotata dalla musica elettronica), soprattutto tramite il grunge proposto dai Nirvana e da vari gruppi provenienti dalla zona di Seattle. Ma grazie alle sue storie personalissime, la sua voce e il suo magico pianoforte l’autrice americana riuscì a far breccia nel mainstream, al contrario di altre sue colleghe che stavano conformandosi ai tempi scalando le classifiche grazie al suono delle chitarre elettriche (penso in particolare al grande successo di Alanis Morissette). I 12 brani dell’album alternano episodi dal mood eterogeneo, ma il filo conduttore che le lega resta una grande malinconia di fondo che a volte sfocia addirittura in rabbia, mentre altre riesce a entrare sottopelle, con una dolcezza disarmante.

Il disco si apre con la splendida Crucify nella quale la Amos si ribella al senso di costante inadeguatezza che è costretta a sopportare (Why do we crucify ourselves….every day / Nothing I do is good enough for you…and my heart is sick of being in shame). Trovo che l’alto livello del suo cantautorato risieda proprio nell’assenza di banalità e di frivola leggerezza: ogni espressione qui pesca dalle profondità dell’anima e cerca di smuovere qualcosa nell’ascoltatore, in qualche modo di provocarlo. Nella delicata Winter ci racconta del rapporto col padre attraverso gesti semplici che evocano momenti di rara intimità fra i due, e lui (reverendo metodista) che le ricorda l’importanza di crescere e maturare (“You must learn to stand up for yourself, ‘cause I can’t always be around”). Il picco estetico viene raggiunto con la morbida China, più che una canzone una vera e propria carezza, nella quale usa con poetica maestria la lingua inglese, da una parte utilizzando la grande nazione asiatica come allegoria per descrivere un rapporto a distanza e dall’altra per descrivere immagini domestiche che fanno riferimento alla porcellana (china, appunto). Uno dei suoi capolavori di sempre. Le canzoni andrebbero tutte citate, perché non ci sono riempitivi in questo album, ma per ovvi motivi di sintesi mi limito a evidenziare ancora solo il brano più potente di Little Eartquakes che è senza dubbio Me and a gun. Come un pugno allo stomaco Tori Amos racconta nei dettagli la dura esperienza da lei subita di uno stupro con parole che tagliano come coltelli come quelle verosimilmente rivolte a tutti quegli uomini che pensano che indossare qualcosa di carino significhi quasi “andarsela a cercare” (I wore a slinky red thing, does that mean I should spread for you, your friends, your father?).

Tuffarsi in questo album (che per noi di Music ON Tnt è senza dubbio un Disco da Isola Deserta) comporta molto più dell’ascoltare un po’ di buona musica: significa entrare in un mondo dove le storie non finiscono tutte bene, come nei film romantici, ma rivelano che la vita sa lasciare anche ferite indelebili. Tori Amos le ha cantate con un talento fuori dal comune e la sua carriera ha dimostrato che non si trattava di un fuoco di paglia, ma di un vero e proprio falò che avrebbe continuato ad ardere a lungo, per la gioia dei suoi numerosi “seguaci” che tutt’ora attendono con impazienza i suoi nuovi lavori.