Rosario Di Rosa Basic Phonetics – Crossroad Blues

Una voce, un secondo, via: suoni, musica, cercare da subito.
Così si parte, così comincia l’avventura di un album di “esplorazione” che, in tempi che sul tema son perlopiù da progetti coraggiosi con le idee o evanescenze da sognatori senza titoli, sta per fortuna nostra nella prima categoria. Così comincia un nuovo capitolo (nuovissimo no, per colpa dello scrivente che pubblica la recensione in ritardo) di uno dei percorsi di Rosario Di Rosa -qui partirebbe tutta una roba di accademiadel tipo “artista poliedrico” che da queste parti, lo sapete, non gode di particolare appeal: saltiamo tutte le intro che trovate agilmente in rete su Rosario Di Rosa e il suo progetto Basic Phonetics; saltiamo e parliamo di ascolto-.

È una musica che non ha timori. Senza spavalderia ma con determinazione ed anche con una discreta precisione, per essere così densa di elementi improvvisati, il suo incedere si sviluppa incrociando in più punti il passato (a sensazione di sentono passare indisturbati i weather report in varie declinazioni, Norma Winstone, un po’ di storia del free e altri che evitiamo di elencare per non fare speculazione compilativa). È però altrettanto presente il desiderio di farsi venire l’idea che non c’era ancora, l’incrocio tra suoni che “insomma, perché no?” e la ricerca di una tensione “nuova” già compositiva ma messa giù anche per via esecutiva e timbrica, che non scansa quanto già successo nella storia della musica moderna ma che non si accontenta di repliche, né peraltro si confina nel jazz (che pure basterebbe, eh?) andando a calpestare correndo qualche prato rock, magari di ambito progressive.

Peraltro non c’è solo spazio sperimentale. Melodia e atmosfere più morbide trovano struttura e corpo lungo il percorso, sebbene l’intenzione rimanga quella di non indugiare in tenerezze, com’è evidente da dissonanze e traiettorie diagonali che vengono disegnate su tappeti che inizialmente sembrano voler rassicurare.
È un album inquieto anche se non necessariamente nervoso. Ed è interessante, il che è già ovviamente un valore in sé ma rappresenta un punto distintivo rilevante quando ci si muove in questi territori, pieni di progetti che legittimano una sequenza di rumori vuoti con la sicumera di chi è sulla vetta dello sperimentalismo e quindi può romperci le scatole con qualunque sgarbo sonoro privo di musicalità.

Qui c’è anche il gusto di far stare insieme (bene) strumenti acustici ed interventi elettrici. C’è un costante raggiungere il punto successivo, per un ascolto che suggeriamo di non riservare al relax sotto la doccia e che invece vs dedicato ad entrare nel sentiero poco lineare ma coerente che l’intero album consente di percorrere.

Se vi piace non accontentarvi mai e siete abituati a questioni musicali non semplici questo è pane per i vostri denti. Se invece siete a digiuno in merito e volete cominciare da qualche parte ecco qui un buon inizio per farvi venire appetito (o per farvelo passare definitivamente, potrebbero dire gli estimatori di tutt’altro… Ci sta, tutti i gusti ci stanno. Ci sta pure la curiosità, però, ed è bello tenerla sempre allenata)