“Heavy Metal. 50 anni di musica dura”, recensione

“L’Heavy Metal è una cosa sostanzialmente differente da quello che i non-metallari pensano”.

Si apre con questo impeccabile incipit  la nuova opera di Tsunami Edizioni intitolata Heavy Metal. 50 anni di musica dura. Il libro, raccontato da Stefano Cerati, vorrebbe , come detto dall’autore stesso, essere focus argomentativo non solo per chi ha da sempre il Metal nel sangue, ma anche e soprattutto da chi metallaro non è, proprio perché, come si legge nell’introduzione al libro,  si arriverebbe a far“ capire che questa musica ha una sua dignità e una sua storia che dura ormai da ben e mezzo secolo”

 

La pubblicazione, rappresentata iconicamente da Arik Roper, racconta nelle sue pagine l’evoluzione di uno stile musicale che, partendo dalla nascita e dallo sviluppo dei primi anni 70, è giunto a un’inattesa evoluzione, in grado di attraversare contaminazioni e estremismi.  Ma il viaggio proposto dallo scrittore milanese non sembra voler raccontare la classica genesi evolutiva dell’HM, quanto piuttosto analizzare in maniera originale e strutturata tutte quelle venature contenutistiche ed emozionali che la compongono, dando così risalto ad aspetti solitamente lasciati ai margini narrativi. Infatti, oltre ad un essenziale e ben definito focus sulle tematiche portanti del genere. Il percorso espositivo si sofferma poi su di una seconda parte davvero ricca di tematiche, non solo legate all’aspetto sociologico del genere, ma anche riferite ad una analisi accorta, legata alla storicizzazione del recente passato. A questo si aggiungono poi le pagine in cui il metal si trasforma in arte e di arte si nutre, mostrando ai profani le commistioni stilistiche in grado di avvicinare la musica pesante a opere pittoriche, letterarie e filmiche.

Tra i migliori passaggi del volume, però, sento di dover sottolineare il capitolo dedicato al simbolismo, in cui l’autore analizza con cognizione uno degli aspetti più affascinanti del metal, portando con sé un’indagine  espositiva di scelte stilistiche, talvolta volutamente provocatorie.

Quindi non abbiate dubbi perché questa nuova “tempesta” può, senza troppi dubbi, entrare nell’Olimpo dei migliori libri sui generis.