J.M.Hagedorn” Un mondo di gang”, recensione

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A lunghi tratti mi è sembrato di tornare indietro negli anni, quando nel periodo universitario mi ritrovavo immerso in libri come Descrizione di una battaglia di Alessandro Dal Lago ed Il punk di David Laing, opere che hanno segnato la mia formazione sociologica, come di certo avrebbe fatto il professor John M. Hagedorn, con il suo Un mondo di gang, 250 pagine che offrono una naturale prosecuzione di quel People and folks: gang, crime and the underclass in a rustbelt city , arrivando a implementare la sua ricerca sul campo, incentrando il suo mondo trasversale, non solo in un’analisi attenta delle dinamiche legate alle sottoculture devianti, ma anche donando uno sguardo molto ampio, sia dal punto di vista geografico che contenutistico.

Il viaggio introdotto dalla prefazione di Mike Davis, ha inizio da Vigario Geral per arrivare a raccontare con occhio lucido un mondo trasversale già crudelmente spiegato da Ice T in Who give a fuck?. Lo studio induttivo, proprio come l’autore stesso ammette, si fonda su una serie di aspetti primari, che fungono da basi fondanti di questo volume, capace di analizzare la concettualità di Slum, legata all’urbanizzazione massiccia, alla povertà e alla ghettizzazione. Un iter interposto tra nazionalismo, alienazione e rabbia, in cui i membri della gang altro non sono che attori sociali recitanti quella realtà esplorata da Durkheim e Weber.

Ma tutto ciò cosa c’entra con la musica?

Chi ha avuto a che fare con studi sociologici legati a controculture come ad esempio quelle Punk, Mods o Rastafari avrà già ben chiaro come spesso per capire sino in fondo un movimento giovanilistico musicale, non sia sufficiente immergersi nelle note, ma appare necessario proiettarsi alle radici del fenomeno per poterlo criticare con cognizione di causa, oppure apprezzare realmente. Difatti è indubbio che ascoltare Anarchy in Uk estrapolata dal contesto, dalle vicende socio politiche e dalla moda estetica di allora, non sarebbe la stessa cosa. Così è anche oggi per coloro i quali ascoltano 50 Cent, Tupac e Notorius B.I.G, senza essere a conoscenza di quella genesi che ha anticipato il B-boying e le forme di rap che trovano alcove negli i pod degli adolescenti.

Quest’opera si propone di partire dagli albori cari a Scorsese portando il lettore a capire lo stretto legame tra la mitizzazione della criminalità con il fenomeno del Gangsta rap, spesso incentrata su condotte di vita non proprio lineari, tra misoginia, durezza, violenza e affermazione. Il libro, oltre a sottolineare demoralizzazione, anomia e identità di resistenza, offre un ottimo excursus storico alle radici dell’Hip pop per descriverne non solo aspetti legati ad un certo modo di vestire, ma anche inserendo elementi nozionistici e vitali per comprendere la rappresentazione iperbolica delle cultura di strada, proponendo l’ideale cardine di hip hop inteso come divertimento, intrattenimento e forma d’arte.

Non ci sono dubbi poi sul fatto che leggendo Un mondo di gang vi ritroverete tra forti percussioni e fori di pallottola, tra Chuck D, Afrika Bambaataa e narco-corrido, che finiscono per destabilizzare e reinterpretare la filosofia iper-commerciale della Death row records… e se forse vi rimarrà qualche dubbio sulla concettulaità di Mcing e beatboxing, di certo vi chiarirete le idee su quel terreno fertile e marcio da cui molte realtà musicali sono cresciute.