7″ Wallace records, recensione

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Era il 1925 quando, dopo le prime sperimentazioni della Berliner Gramophon, fu ufficializzato lo standard a 78 giri al minuto. Inizialmente erano registrati su di un’unica facciata, senza microfoni e con i soli strumenti meccanici. Oggi dopo una sorta di drop out sociale sono merce rara, pietanza per collezionisti ed estimatori del suono; alcune label stanno reiterpretando quel magico 1948, anno in cui furono introdotti nel mercato i primi dischi in vinile, quando il solco iniziò ad essere ridimensionato riuscendo a dare una maggiore durata di sé.
Tra queste etichette pronte a ritornare su quei fatati passi perduti, ritroviamo la Wallace Recors, momentanemente tra i petali di quel giallo fiore che cresce ai lati del fiume Rimac. Infatti Mirko Spino, anima pura ed attiva dal 1999, tesse la sua preziosa tela dal Perù, mostrandosi comunque sempre molto attivo e attento al mondo indipendente.
Sulla breccia dell’onda, oltre alla nuova release di Bologna Violenta e Miss Massive Snowflake troviamo proprio due cari e vecchi vinili 7’’, gioia estetica per gli amanti del genere, e festosità musicale per chi conosce l’etichetta di Trezzano rosa.

The shipwreck bag show

Il primo disco è una piccola meraviglia nel suo genere, che dopo qualche tempo ci da l’occasione di ritornare sulle tracce del folle duo Iriondo-Bertacchini, in combo sotto il monicker The shipwreck bag show. Il vinile, vestito in splendido corporeo trasparente, si deve alla sinergia di quattro realtà noise di caratura come Wallace, Soundmetak, Tarzan records e Valentina Chiappini autrice anche di Apocrifo, brano che apre il alto A di questo 7”. Il suono ossessivo ed ipnotico travolge l’ascoltatore sin dal momento in cui la vecchia ed impolverata puntina si inserisce nei meravigliosi solchi.
La prima traccia riesce a tramortire attraverso un parlato teatrale, i cui tuoni vocali si camuffano da post punk ferrettiano, chiuso in una claustrofobica aria che si inerpica sul rumorismo di Duende, in cui scrosci naturali si amalgamano all’isterico uso dei piatt,i accovacciati accanto ad una voce filtrata che sembra uscire da un vecchio grammofono. Il suono si placa e si sposta sul lato b del disco con la traccia ermetica Maiale, fulgido intento ermetico da cui fuoriesce un insieme di onde sonore immerse nella rabbia ben definita dalla distorsione chitarristica, che anticipa il visionismo lirico e le sensazioni ritmiche, sincopate e devianti come sviante appare lo sdoppiamento vocale di Bertacchini, che promuove un urgenza espositiva tipica del noise di qualità.

Germanotta Youth The final Solution

Il secondo disco di cui abbiamo il piacere di occuparci è l’ultima trovata dei Germanotta Youth, che dopo il buon The Harvesting of soul, approdano sul piatto con un nuovo 7” Wallace, questa volta in compagnia di Bloodysound Fucktory, Offset records e Sangue dischi. Il vinile sembra voler nascondere una macabra ironia nera con il suo simbolismo e con tracce di curiosi messaggi nascosti.
A battezzare l’inquietante soluzione finale è Theriantropon, in cui la violenza post grind raccoglie sensazioni ansiogene ed industriali, attraverso un andamento meccanico da cui emerge il lavoro di Andrea Basili, ottimo catalizzatore di sensazioni. Il filo che lega le varie parti della traccia si allineano e disallineano in maniera calibrata, attraverso un andamento costante e vorticoso, senza però mai lasciare all’attesa il timone del gioco. Aritmie sottili e extrasistole soniche imperversano nello sviluppo immerso nel flebile space noise di Reeks.
L’andamento meccanico e ridondante torna poi in Demons in the limbic brain, in cui l’aspetto elettronico domina sulle basse corde di Pupillo, arrivando a ritmiche carpenteriane, senza però definire un pieno convincimento, a differenza di The succubus, perfetto compendio musicale capace di inghiottire industrial, extreme noise e arido metal elettronico. La voce che si manifesta rabbiosa insegue climax sonori in sulfureo protogrowl e si unisce poi in maniera efficace e, permettetemi il termine, portentosa, fino a scontrarsi con un solido muro di folle suono che può di certo rappresentare alcune generazioni legate al mondo grind. Molte sono poi le venature, per così dire sinphoniche, come i giochi sonori che si elevano da synth e sampler, atti a raccontare in maniera scarna e genuina una serie di note violentate dalla pavida forza espositiva che il trio romano ha sin da subito voluto dimostrare.