Absurde Universe “Habeas Corpus”, recensione

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Si chiamano Absurde Universe e sono nati da una costola dei Sinister, dai quali rinascono come una magica fenice, in un classico sdoppiamento di personalità artistica. La band, dopo qualche tempo di naturale gestazione, arriva finalmente al debut album Habeas Corpus licenziato dalla Punishment 18 Records.

Il platter si presenta come una sorta di spin off musicale, costruito attorno al growling di Adrie Kloosterwaard, il quale, assieme ai suoi quattro compagni di navigazione, racconta una sorta di velato concept, parzialmente ispirato a quel secolo d’oro durante il quale gli olandesi erano con i loro magici e cupi galeoni abili mastri di vita, tra commercio, scienze ed intensi scontri guerreschi. Sotto l’egida della Vlag van Nederland è l’onore, il coraggio e l’arte marinara ad essere di primaria importanza, come viene ben definito dal booklet essenziale nel suo essere, per una complementazione di intenti cominciata con un attento songwriting, da cui trapela il marciume ed il sangue della conquista.

Storie musicate che, ancora lontane dalla Pace di Vestfalia, riuniscono a sé la poesia di Samuel Taylor Coleridge, chiara fonte di ispirazione nel costrutto lessicale proposto dalle tracce.

A richiamare il riluttante ascoltatore è un desolante suono di campana che, con la sua naturale vibrazione, seduce ed inganna come un incantatore. La tentazione di immergersi nelle mangrovie labirintiche, tra nebbie e atmosfere rarefatte, è amplificata dalle cicliche note iniziatiche del breve incipit (History of a new hell) che ci trascina in un difficile climax verso Freedom less, un death old school che, come l’intero disco, sarà delizia degli Hmk.
La traccia si dipana appoggiandosi su di un corposo e profondo drumming, su cui intarsi chitarristici sembrano dover molto al movimento metal degli anni 90. Di similare impostazione è la seguente Blood collector, da cui iniziano ad emergere persistenti spezie Slayeriane, tra interessanti e funzionali stop and go e riff vintage. Silenti esplosioni, rallentamenti e divergenze sonore sembrano voler metaforizzare il suono dei cannoni, simbolo di cieca violenza, calmierata poi da Ships of enslavement, in cui il rimando a Barry Lyndon ci trascina in balia dei venti d’oceano, tra diluizioni sonore e armonizzazioni che rendono merito ad uno splendido lavoro di postproduzione. Accenni doomthrash definiscono poi i limiti di sangue e spietatezza che portano il racconto ad un’apertura cupa e devastante, in cui l’arrangiamento sonoro rende merito all’arte visionaria del quintetto.

In questo andamento sonico, il controllato blastbeat è spesso attraversato da guitar solo, immersi nell’ Acqua rossa prima e nell’inevitabile headbanging di Boiled by dead waterpoi, in cui le malate onde riportano a galla idee forse non troppo originali, ma di ottimo impatto sonoro.

Ma non c’è riposo né tempo di elucubrare, in quanto i corpi dilaniati dai mefistofelici albatros della cover art non sembrano trovare pace in un racconto che va districandosi in poco meno di mezzora, Neppure nella perfetta Under command da cui si erge una sensazione South of heaven, che, tra odio e assurdità umana, non riesce a chiudere la porta dell’oscurità come si tenta di fare in The endless quest, i cui melanconici archi definiscono l’incontro con il classicismo per un falso finale.

Insomma un disco che si evolve come un truce e truculento romanzo storico, figlio del nostro folle ed assurdo universo, in cui avidità e supponenza hanno creato mostri ben metaforizzati da questo death di qualità.

1. History of a New Hell
2. Freedom Less
3. Blood Collector
4. Ships of Enslavement
5. A Stone for Your Skull
6. Red Water
7. Boiled by Dead Water
8. Under Command
9. New World Domination / The Endless Quest