Acid Brains “Maybe”, recensione

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Dico il vero… dicendo che non mi aspettavo un disco così interessante.

Infatti, pur conoscendo gli Acid Brains sin dai tempi della U.D.U. Records, proprio non credevo che la band potesse ottenere in un così breve lasso di tempo concreti risultati come quelli dimostrati dal “lato a” di questo nuovissimo Maybe.

Il disco, promosso dalla Red Cat Records e distribuito da Audioglobe-The Orchard, mescola senza soluzioni di continuità un possente rock vestito da stoner, un delicato alternative e un deciso punk nella sua accezione più ampia del termine, nel tentativo (spesso riuscito) di uscire fuori dal consueto vissuto. L’opera quarta, nel suo complesso, restituisce una band matura e ben calibrata dalla voce calda e corposa di Stefano Giambastiani, che appoggiato alla sezione ritmica e alla sei corde racconta, attraverso liriche dirette e talvolta perfettibili, un viaggio sonoro che trova il suo lato debole sul finire. Personalmente trovo poco funzionale l’accorpare i tre brani in lingua madre, definendo così una sorta di cortina tra un ipotetico disco ufficiale e quello che sembrano semplici B side. Infatti con un attento ascolto sembra emergere un diversificato approccio compositivo che, al di là della minore verve delle tracce finali, arriva a sembrare il prodotto di un passato oggi rinverdito dalla band, grazie a brani alquanto convincenti come Collapsed, rabbioso tracciato punk – hc, da cui sfociano due minuti folgoranti di rabbia intensa e semplice metodologia esecutiva.

Il disco evolve nell’introduzione di Strong, in cui i piatti si amalgamano alle note basse delle cobaniane strutture, per poi trascinarci verso una vorticosa accelerazione, fulcro dell’ottima composizione. L’anima hardcore ed il pesante riff costruttivo, delineano la composizione come tra le migliori del full lenght, al pari di All they want to go, che da sola vale il prezzo d’ingresso. Una composizione di rock duro e sporco che si inoltra in territori hard rock e post grunge, in cui l’ottima voce granuolosa di Stefano ci racconta di interessanti e coinvolgenti partiture.

La linea vocale abbandona poi per pochi istanti la splendida rabbia, per appostarsi con Go back home ad una linea più controllata, ma non meno funzionale. La simulazione di clapping hand, definita come base ritmica, si unisce ad una chitarra pulita che parla di sensazioni nirvaniane, lasciando il posto ad un punk che richiama i No fx più gioiosi, come accade chiaramente in Enjoy, da cui si aprono movimenti Smoking Pope, arrivando così a concedere qualcosa all’armonia pop.
A chiudere il disco, come detto in apertura, è il trittico in lingua madre, che per certi versi rappresenta il lato peggiore degli Acid Brains. Infatti, la band in maniera poco comprensibile raccoglie all’interno di un angusto spazio la triade finale, esprimendo una marcata debolezza stilistica che, oltre a perdere la vis iniziale, si lancia verso il lato meno affascinante del rock italico, andando a fornire una coda evitabile per un disco dalle due facce.

1. All They Want To Go
2. Go Back Home
3. Collapsed
4. Strong
5. Enjoy
6. Try Again
7. Io ero morto
8. Fremo
9. Dimentico (I Forget)