Acustronica Netlabel

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Quando il mio Editor mi ha chiesto se potevo essere interessato a gestire l’articolo su Acustronica, si è aperta in me una finestra chiusa da tempo. A dire il vero la concettualità artistica dell’elettronica non mi ha mai conquistato sino in fondo, neppure applicata al mondo alternative. Forse è stato per questo che qualche anno addietro, saturo di una certa tipologia di musica, ho finito per chiudere l’infisso e voltare le spalle. Così dopo alcuni anni in psicotica postura di preclusione, ho deciso di abbandonare la mia radicale posizione.

Con il senno di poi debbo dirmi soddisfatto, per la proposta e per la mia decisione, perché sono riuscito a riscoprire sensazioni nuove dovute alla sapiente regia di Acustronica, Netlabel nata con lo scopo di trovare e promuovere quegli artisti e gruppi che stanno facendo qualcosa di nuovo e creativo nel panorama musicale italiano e internazionale[…] in modo da favorire delle collaborazioni e creare una sorta di comunità […]qualsiasi tipo di musica acustica o elettronica, pop o sperimentale, l’importante è che sia qualcosa di diverso dal “Già sentito”.

Fort Fairfield
“The dead sea scrolls”

Il nostro viaggio inizia con “The dead sea scrolls” di Fort Fairfield, ensemble di sonorità variegate e nobili, nascoste dietro ad un sottotitolo “A tale about love in retrospective” dai sapori retrò e estensioni inusuali.
Ascoltando il disco non sono riuscito a capire però, quanto la cover art sia stata influenzata dalle composizioni o viceversa; proprio perché, durante un attento ascolto, sembrano emergere le melanconie del nostalgico passato espresso dalla copertina del disco, nel quale sembra esiste una forte propensione a sviluppare immagini ipnagogiche fortemente influenzate dal work art.

Il disco ha inizio con la breve “Intro”, traccia capace, con i suoi disturbi sonori, di trasportarci all’interno di un film d’epoca, che assorbe la tranquillità familiare di “Safe”, con i suoi suoni soffici, intermezzati dal noise sound. L’altronica della band svedese emerge poi in maniera palese con “Too Long a Sacrifice Can Make a Stone Of the Heart”, da cui fuoriesce un suono arido e desertico tipico delle risonanze nordiche, sino a maturare verso una base ritmica sopra le righe, per arrivare ad un richiamo al mondo di Ionsi, come accade con “il suono degli uccelli”, magnifica composizione onirica, da gustare ad occhi spenti.

Di interessante sviluppo sono l’ode a Mogwai, partitura costruita su overlay mobili e di ampio respiro e “Hisingen” climax musicale, al cui concettualità risulta essere alquanto legata al ricordo melanconico e alla natura che diventa più buia ed inquieta nelle basse tonalità utilizzate in “Grace”, in cui luci ed ombre si incontrano lentamente.
L’album si chiude con il buon groove della titletrack, che chiosa un disco accattivante ma forse troppo diluito, che sembra perdere le verve iniziale sulla lunga gittata, pur rimanendo un interessante prodotto sui generis.

Tracklist

Intro
Safe
Too Long a Sacrifice Can Make a Stone Of the Heart
Sounds of Birds
Ode to Mogwai
Hisingen
Grace
Peoples Faces
The Forest Awakens at Night to Reveal Another World
Live for the Railroads
Patchwork
Freakout pt 1
The Dead Sea Scrolls

Tristeza Orange
“Monochrome”

Continuiamo il viaggio attraverso il suono sperimentale di Tristeza Orange, progetto nato nel 2001 ed oramai delineatosi attorno alla figura di Antonis Tsagaris, capace di osare inseguendo lugubri e al contempo aperte sonorità elettronico-free. Esempio manifesto della sua arte sembra essere il suono prolungato e cupo di “Half-Mute Irene Power “, traccia che si amalgama a ponderati suoni ambient-space , tanto da ricondurre la mente ad antiche reminiscenze dei primi Pink Flyod, con la sua ritmica ragionata e diluita.

Interferenze sonore, risultano essere funzionali in brani come “Lines”, in cui l’angoscia primordiale sembra voler e dover emergere da quella partitura, che a tratti sembra essere colonna sonora di sé, per fondersi su basse tonalità di sfondo, mescolate a suoni alti particolarmente attenti alla genuinità degli intenti.

Non mancano poi né elettro-tribal noise, né industrial sound, che per certi versi si avvicina ai lavori di ?Alos, nella sua narrazione della routine quotidiana. Una durezza del vivere comune che riappare infatti attraverso il suono delle quattro corde, tra synth, campionamenti e oggetti inusuali, determinando spesso un’ originalità compositiva, tanto disorientante quanto insolita.

Tracklist

Half-Mute Irene Power Lines
The Stars They Burn My Eyes My Hands
Please Call 911
The Zebra

Th.e.n.d
“Schizophrenic Birth”

Cambiamo lido, approdando a “Schizophrenic Birth” di Th.e.n.d, Ep forse troppo breve per non essere considerato quello che una volta veniva chiamato maxisingle e troppo poco per riuscirne a darne una valutazione più ragionata.

Un minidisc in cui appaiono tre brani euritmici e a tratti melodici, che riescono nell’intento di controllare abilità sonore della sperimentazione tipica dell’incipit dell’Extended Played, La micro opera del Berlinese Th.e n.d, all’anagrafe Norman Dauskardt, come lui stesso afferma, ha infatti una storia da raccontare, attraverso l’amore del pianoforte, della chitarra e di “qualsiasi cosa che permetta alla mano dell’uomo di produrre suoni”.

Il disco introdotto su base minimalista. Scopre ben presto echi corposi, che si appoggiano ad un beat house, capace di fondere il classicismo passatista con l’elettronica modernista, come accade in “Brahmans Son “. Quest’ultima appare tra le migliori composizioni del disco, con i suoi sentori carpenteriani cupi e bui. Le note che cado come pioggia rasserenante, si amalgamano allo sfondo inquieto e diluito, viaggiando su livelli soprapposti, a favore del silenzioso esito narrativo. La chiusura, nella sua drammaticità sonora, determina una lenta chiosa, intenta a lasciare l’ascoltatore sul ciglio di un finale aperto, grazie a note ridondanti e di ampio respiro.

Tracklist

Schizophrenic Birth
Brahmans Son
CanCan