Black Sabbath Live. Arena di Verona 2016

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L’importante era esserci, forse importa solo questo, perché l’assoluta certezza del non rivederli mai più è ormai compiuta. La scritta The end che alle 22:40 ha chiuso live dei Black Sabbath non lascia dubbi.
Il tour di addio della mitologica band di Birmingham ha colorato di nero Verona, città in cui si sono dati appuntamento metallari di ogni età, pronti a vivere una serata emotivamente straordinaria, che va ben oltre la performance intesa in senso stretto.

I gradoni dell’Arena iniziano a popolarsi sin dalle 18:30 mostrando ossimori estetici davvero straordinari; infatti a lobi dilatati e capigliature anni ‘80 si affiancano le camicie e le giacche di distinti signori attempati, probabilmente da poco usciti dall’ufficio, ma pronti a rievocare reminiscenze adolescenziali. L’aria diventa elettrica sin da subito, pronta ad accogliere uno dei più carismatici messia dell’heavy metal.
A dare inizio alla serata sono però il Rival Sons band statunitense che, pur dedita ad una buona forma di rock blues, è risultata (almeno ai miei occhi) un imbarazzante intoppo, non tanto per le sonorità a dire il vero piacevoli e riuscite, quanto per l’atteggiamento da prima donna del frontman Jay Buchanan che, tra movenze imbarazzanti e ridicoli ammiccamenti agli spalti, ha calcato scalzo il palcoscenico, probabilmente credendosi una divinità superiore. Fortunatamente la session dei californiani non si dilunga molto e così, attorno alle 21:00, quasi in maniera inattesa, entra in scena Ozzy di nero vestito.

È tempo di iniziare.

Black Sabbath, Fairies wear boots e After forever scivolano via in un attimo, mentre Geezer composto ed elegante, batte sulle toniche i suoni manovrati da Tony Iommi, pronto a viaggiare impeccabile tra le note, dando alito vitale agli storici riff di Into the void e Snowblid.

Ozzy salta, si muove in maniera talvolta goffa (d’altra parte ha 68 anni e una buona cinquantina di questi vissuti a 300 all’ora), si sposta da un lato all’altro del palco, chiama a più riprese il clapping hands, gioca con il suo pubblico, si racconta attraverso piccoli attimi; talvolta va fuori tempo, altre volte stecca proprio come accade nel sound check… ma è Ozzy!
Il pubblico osserva ciascuno istante del live, rimanendo in silenzio ogni volta che il principe delle tenebre si raccoglie attorno al proprio microfono. La sensazione è quella di un’empatia assoluta, rara e impensabile.
Un concerto (evento) che sembra raccogliere le proprie energie esclusivamente dalla musica; il palco minimale è teatro di essenziali giochi di luce molto anni’70, proprio come lo stile impeccabile di Tommy Clufetos alle pelli, protagonista di un immenso assolo, che mi ha riportato alla mente il Ian Paice di Made in Japan.

Ma non c’è il tempo di pensare, Ozzy si prostra più volte per ringraziare l’adorante pubblico mentre il suono di Behind the Wall of Sleep e N.I.B escono dal muro di amplificatori marchiati dall’iconografia storica dei Sabbath.

Tra i momenti più alti del live, di certo, non si può che sottolineare l’ottima performance corale di War pigs, Iron Man e la cavalcante Children of the grave, in cui la sezione ritmica racconta un mondo senza tempo, pronto a trovare il suo climax perfetto nell’atto di chiusura, che non poteva che essere Paranoid, sulla quale il pubblico impazzisce, regalando le ultime energie ad un’esplosione emozionale in grado di portare con sé l’agrodolce sensazione del gran finale, ricordo di una serata indimenticabile.

Scaletta:

Black Sabbath
Fairies Wear Boots
After Forever
Into the Void
Snowblind
War Pigs
Behind the Wall of Sleep (Con l’intro di “Wasp”)
N.I.B. (Con l’intro di “Bassically”)
Hand of Doom
Rat Salad
Iron Man
Dirty Women
Children of the Grave
Paranoid