Brainkiller

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Sfogliando il rooster della Rare noise Records, da qualche settimana potrete imbattervi il un’ interessante immersione tra blue note, pronte a raccontare partiture curiose e (a tratti) folleggianti, proprio come l’inconsueta cover art che, per il suo tratto thrash, finisce per fuorviare l’ascoltatore.

Dietro la grafia di questo Colourless green superheroes si celano i Brainkiller, nome di un funambolico trio jazz-prog-lounge-trip hop composto dal trombone di Brian Allen, le tastiere di Jacob Koller e il drumset di Hernan Hecht. L’apolide combo, licenziato dalla Rare Noise Records, offre un poliritmico approccio sonoro assestato tra il jazz, inteso nella sua più ampia accezione, ed una necessaria voglia di sperimentare senza mai eccedere in facili impostazioni noise. Un gioco sonoro che, tra il serio ed il faceto, racconta in maniera attenta tredici tracce trasversali, che portano in primo piano costruzioni soniche pronte a ritrovare spezie organiche provenienti dal terreno diversificato da cui i tre autori sono partiti.

Ad aprire la via musicale è l’introduttiva The vindicator returns, in cui la batteria scomposta attrae a sé una chitarra elettrica blandamente distorta per un dialogo surreale. Il dualismo sonoro finisce per lasciare spazio ad un curioso cambio strutturale in cui il trombone di Brian Allen racchiude aperture sonore quiete e celesti, per poi raggiungere un aumento intensivo del medesimo leit motiv. Da qui ripartono i giochi di note presenti in Scribble, allegra performance senza confini ben definiti, pronta ad un alternarsi sonoro interposto tra fiati e striature fortemente progressive, intercalate tra imprò e strutturazione narrativa accorta e circoscritta.

Con il dolce pianoforte di Top of the world il mondo jazz contenuto nella sua pompa di intonazione percorre il movimento della culisse, raccontandoci un brano semplice ma forse meno accattivante rispetto al sapore jazz trip hop di Empty worls, in featuing con Coppè singer giapponese che, con la sua aurea elecro lounge, dona delicatezza vocale, qui filtrata da magiche eco ed evocativi andamenti, attraverso un uso molto ricercato ed elitario delle sonorità.
Se poi l’intensità emotiva cresce tra Viv e Secret mission, con A piedi verso il sole l’ascoltatore subisce un delicato risveglio ipnotico e surreale che diventa retrò con Orange Grey Shades, composizione atta ad accompagnarci con l a sua delicatezza nei club notturni, in cui il suono del jazz gioca tra sensibili rumorismi e strampalate impalcature sonore, per poi riattorcigliarsi sull’elica emozionale dell’incipit.

Insomma, un disco che, pur partendo dal mondo nobile del jazz, non si limita a definire un viatico elitario dal naso all’insù, ma riesce a trasportare foglie sonore aperte a stili differenziati pronti a conquistare un ascoltatore attento e predisposto a divagare tra i bui immaginifici del proprio ego.